PALERMO – Alfonso Cicero lo ha attaccato frontalmente. Il presidente poteva scegliere se reagire o incassare. Ma ha finito per balbettare, rimodulando via via le sue dichiarazioni. “Siamo sempre stati al fianco di Cicero, queste parole sorprendono”. Poi la minaccia di querela: “Andrò io in Procura”. Subito dopo, il ripensamento. “Non riesco a immaginare l’Irsap senza Cicero”, quindi il tentativo di giustificare il “disinteresse” per le sorti del funzionario col riferimento, che somiglia a quello di un alunno impreparato, ai giorni segnati dalle polemiche sull’intercettazione fantasma tra lui e il primario Tutino: “Negli ultimi mesi – ha detto Crocetta a Repubblcia – non ho neppure guardato i telegiornali. Anche io sono un essere umano e mi sono trovato in un periodo difficile della mia vita”.
A anche stavolta, insomma, la realtà ha colto Crocetta di sorpresa. E il presidente, evidentemente non aggiornato a sufficienza da cerchi e cerchietti magici che lo circondano, è stato investito dall’ultimo ciclone. Quello delle accuse giunte da chi, fino a poco tempo fa, era considerato un fedelissimo. Così vicino al governatore da spingere Rosario Crocetta, circa un anno fa, a convocare una conferenza stampa. E ad animarla con i soliti imperativi manichei: “O si è con Cicero, o si è con la mafia”, disse in quei giorni. Minacciando, persino, di sottoporre i giornalisti “cattivi” alla prova dei dossier. Per capire cosa stesse dietro certi articoli critici relativi, ad esempio, alla nomina del geometra a Commissario prima e a presidente poi, dell’Irsap. O agli incarchi agli avvocati dell’ente.
Adesso quel fedelissimo è un nemico del presidente. Il nuovo nemico. E le sue parole non fanno altro che seguire quelle di Marco Venturi. Fu il leader confindustriale, è bene ricordarlo, a volere l’Irsap (l’ente che ingloba le ex Aree di sviluppo industriale), quando ricopriva la carica di assessore alle Attività produttive. Venturi minacciò le dimissioni quando il ddl all’Ars rischiò di essere impallinato. Fu lui a volere lì Cicero in qualità di commissario straordinario. E infine le dimissioni dell’ex assessore arrivarono proprio quando Lombardo deciderà di sollevare Cicero dall’incarico, nominando Luciana Giammanco. Corsi e ricorsi che rischiano di apparire come “segnali” e che certamente dovrebbero suscitare quantomeno la reazione di Crocetta. Che invece, si è limitato a un balbettìo confuso. A ondivaghe prese di posizione che non hanno chiarito nulla.
Anche stavolta Crocetta ha taciuto sul passaggio davvero inquietante delle dichiarazioni di Cicero. Quello cioè in cui si accenna alle “richieste inaccettabili” avanzate dal governatore al presidente dell’Irsap e a Venturi. Quali sono queste richieste? Anche da Cicero e Venturi, a dire il vero, dovrebbe arrivare un pezzo di verità. L’uso di riferimenti così vaghi e allusivi rischia di suonare solo come un messaggio cifrato, un avvertimento al governatore. Che intanto, tace. Balbetta. Non risponde sul punto. Decidendo di non subire e non reagire.
Un atteggiamento che non ha nulla di “rivoluzionario”. E che rischia adesso di essere una costante. Successe anche in occasione dell’addio di Lucia Borsellino. E, a pensarci bene anche quando decisero di tagliare la corda da questa esperienza di governo Nino Caleca e Nicolò Marino. Li citiamo non a caso. Sono stati presentati, questi assessori, come vessilli della legalità. Come garanzia di un passato da lasciare finalmente alle spalle. E che invece…
Crocetta non spiegherà mai a quali “motivi di ordine etico e morale” accennasse Lucia Borsellino. “Forse sa cose che io non so”, disse in occasione della direzione regionale del Pd. “Magari la telefonata, se c’è stata, è avvenuta in una zona d’ombra”, si era giustificato pochi giorni prima. “Io la conosco meglio dei suoi familiari”, spiegò poi al Corriere della sera, mentre Manfredi Borsellino, di fronte a Sergio Mattarella, segnava un solco tra l’antimafia dei figli di Paolo e quella del governatore gelese. “Le hanno fatto vedere un dossier falso”, tirò fuori addirittura all’Ars, credendo di poter giustificare con quella scusa, un disagio, quello di Lucia Borsellino, che aveva radici profonde. Che affondavano anche nei rapporti tra lui e qualche medico troppo amico, e con troppa influenza – stando alle carte della Procura – sulle scelte politiche. Sul potere, cioè. Sulla cosa pubblica. Anche lì Crocetta balbetterà: “Vorrà dire che cambierò medico”, come se fosse normale che un semplice “medico personale”, raggiunto dalle Forze dell’ordine per condurlo in carcere, chiamasse, proprio in quei minuti, il “semplice paziente” Rosario Crocetta. Il governatore di Sicilia.
E a dare forma alla confusione ha pensato anche il partito del presidente. Il Pd. Che forse ci aveva visto giusto. Almeno stando ad alcune accuse scagliate in passato dagli stessi esponenti del partito. A cominciare da Davide Faraone, che parlò di una “antimafia 2.0” e di Antonello Cracolici che fece riferimento al “Circo Barnum dell’antimafia” che si raccoglieva attorno al presidente. Tutto dimenticato. Un partito che adesso affida al presidente Giuseppe Bruno, il compito di colmare un altrettanto colpevole silenzio: “Non entro – ha detto – nel merito delle vicende interne a Confindustria ma credo sia doveroso che il presidente Crocetta riferisca in Parlamento in merito a tutta la vicenda Irsap, alle pressioni che avrebbe subito sulla nomina di Cicero e alle presunte ‘indicibili richieste’ che avrebbe fatto. La magistratura deve fare il suo corso, ma i siciliani non possono restare senza risposte dinanzi a questo ennesimo pessimo spettacolo”. Ovviamente, nessuno che, al di là delle parole e delle più o meno grottesche minacce affidate a ultimatum, penultimatum, accuse alle sue giunte di camerieri, critiche alla sua capacità di governare, decida di accompagnare il presidente alla porta, certificando il fallimento di questa esperienza.
Così, la nuova “convocazione” all’Ars che ormai puzza di rituale stantìo, nonostante la “sacralità” di quelle sale dimenticate per gran parte dell’anno dai ben pagati inquilini. Era già andato all’Ars, Crocetta, dopo il “caso Borsellino”. Parlò tanto, non disse nulla e alla fine tutti erano soddisfatti.
Ogni contraddizione, infatti, è depotenziata dal balbettìo, confusa nella polvere delle giustificazioni che mutano a ogni ora. Nicolò Marino fu il primo a puntare il dito contro “l’antimafia fasulla” di Crocetta, proprio tramite una intervista rilasciata a Livesicilia. E in quelle parole, anche il “tema dei temi”, quel rapporto con la Confindustria siciliana esploso in questi giorni.
“Non voglio entrare nelle liti interne di Confindustria”, si affretterà a dire Crocetta. Come se la questione non lo riguardasse. Come se volesse scappare in un angolo per fuggire agli schizzi di una pistola ad acqua. Quella oggi tra le mani di una parte degli industriali che gli furono amici. E ai quali Crocetta, nel marzo del 2013 (poco più di due anni e non due decenni fa) dedicò un intero capitolo della sua autobiografia. Il capitolo 8 si intitola: “Compagni di viaggio. Montante, Venturi, Lo Bello e gli altri”. Montante, secondo Venturi, “condiziona ancora le scelte di Crocetta”. Lo Bello fino a pochi giorni fa provava a raccontare l’armonia che regnava in Confindustria per poi derubricare tutto, sottolinea Venturi, in un “caso nisseno”. Mentre Cicero è considerato tra gli uomini più esposti d’Italia secondo il Ministero dell’Interno. Lo stesso che assicura blindate e scorta a Crocetta, l’uomo che avrebbe contribuito, stando alle parole del funzionario, all’”isolamento” dello stesso Cicero. E su questa e su altre accuse, al momento, Crocetta balbetta. E accresce la confusione e l’incertezza di chi assiste alle accuse incrociate di un mondo che una volta era considerato “l’antimafia” e che ha già prodotto le sue ramificazioni: l’anti-antimafia. Che avrebbe persino un volto istituzionale. Crocetta, ancora, cosa sia successo con Lucia Borsellino, Nicolò Marino, Nino Caleca e adesso con Cicero e Venturi non lo spiega. Si affida al balbettìo. Una cosa è certa. Anche quel capitolo otto del suo libro del suo libro della “rivoluzione”, dovrà essere aggiornato.