CATANIA – I lavoratori Ikea incrociano le braccia. C’era una volta il modello svedese. Potrebbe cominciare così la storia del colosso dell’arredamento low cost che dalla Svezia ha conquistato in breve tempo i mercati internazionali. La formula è semplice e vincente: mobili a prezzi contenuti, ma soprattutto facili da montare e smontare. Solidissimi e indissolubili invece i diritti e le garanzie dei dipendenti. Anche per questo la progressiva nascita dei vari punti vendita nel nostro paese è stata salutata con favore e speranza da giovani e meno giovani. Ventuno i punti vendita disseminati lungo tutto lo stivale e seimila i dipendenti che lavorano per Ikea. Questi i numeri di una realtà imprenditoriale che negli ultimi vent’anni si è consolidata sul territorio italiano. Oggi, però, le cose hanno preso un’altra strada. Il primo sciopero nazionale organizzato dalle tre sigle confederali ne è prova. Al centro del malessere dei lavoratori c’è la proposta di modifica del contratto integrativo.
I tentativi di trovare una sintesi tra le posizioni dell’azienda e quelle delle forze sindacali si soni conclusi con un buco nell’acqua. “L’azienda è imperterrita nel trattare unilateralmente”, spiega il segretario provinciale della Uil Tucs, Sergio Romano. “Le trattative, invece, si fanno in due”. Lo scontro nasce dalla decisione di disdire il contratto integrativo e di rimodulare i compensi per straordinari e premi. Elementi che da fissi diventerebbero variabili e vincolati alla produttività aziendale e inciderebbero non poco sulle tasche dei dipendenti. L’azienda vorrebbe ridurre la percentuale delle maggiorazioni domenicali dal “70% al 30%”. “Ikea non ha competitor in Italia e non può per una flessione di fatturato legata alla crisi far pagare questo scotto ai lavoratori”, dice Romano. E sul contratto integrativo, Romano ribadisce: “Non si può partire da zero”. Il sindacalista individua un problema di metodo. “Azzerare tutto nel pieno della trattativa è come se io sono il padrone di casa e prima di dire a un inquilino che voglio aumentare l’affitto gli mando lo sfratto”.
Diverso il parere del colosso svedese che, già all’indomani di un’ondata di scioperi territoriali, aveva replicato ai sindacati sui temi evidenziati. L’azienda “non vuole cancellare le maggiorazioni festive e domenicali, ma solo discutere su come renderle più eque per tutti (oggi alcune sono al 130% mentre altre al 30%) e su come ripartire meglio le presenze”. “La criticità perdurante dell’attuale contesto economico e concorrenziale ha spinto Ikea Italia a decidere di non rinnovare automaticamente il Contratto Integrativo Aziendale, di cui alcuni temi risalgono al 1993 e altri al 2000, con l’obiettivo di ridiscuterne i contenuti guidati, oggi come in passato, dai valori aziendali e ispirati a principi di equità sociale e corresponsabilità”, si legge nella nota. L’obiettivo sarebbe “di arrivare a firmare un nuovo Contratto Integrativo aziendale che sia in linea con il nuovo contesto economico e sociale e assicuri basi solide allo sviluppo futuro della presenza di Ikea in Italia”.