PALERMO – “Noi vo-glia-mo que-sta vit-to-ria!”. Era cominciata così: tutti in piedi, all’ingresso della squadra in campo, a intonare ritmicamente l’inno della vittoria. Alla fine, però, dopo novanta minuti di strazio, la scena più straziante, cui non avremmo mai voluto assistere: Miccoli che prende quasi per mano ad uno ad uno i suoi compagni e li trascina letteralmente sotto la curva nord, ma, fatti pochi passi, vengono bloccati da un uragano di fischi, che lacerano l’aria pesta di quest’inverno che non vuol cedere il passo. I giocatori si inchiodano, alzano lo sguardo verso la curva: anche stavolta tutti in piedi ma solo per inveire con più forza, con più rabbia. Miccoli alza le braccia, è come un segno di tregua, sembra voglia chiedere ai suoi tifosi: “Perché?”. Ma l’ululato della curva non si smorza, anzi, se possibile, cresce d’intensità e allora Miccoli si arrende, guarda i suoi compagni e mestamente, a testa bassa, torna indietro, come un cane bastonato. Lui ha dato tutto in campo, come suole, ma stavolta non ne è venuto bene nulla, o quasi: lui impotente come il resto della squadra, ma da lui nessuno se lo aspettava, lui è il capitano, lui è il trascinatore; è lui in campo a dettare certe regole ma stavolta non c’è riuscito, per quanto si dannasse, corresse a perdifiato, mordesse le caviglie dell’avversario che, implacabilmente, riusciva quasi sempre ad anticiparlo e, comunque a fermarlo. E lui non c’è abituato e, ancor di più, non se l’aspettano i suoi tifosi, che lo adorano e, per tanto, pretendono da lui sempre l’”impresa”. Che non c’è stata, e non perché lui non ci abbia provato, ma perché non era la sua serata, non aveva il supporto necessario dai compagni e lui stesso non era in grado di inventarsi la giocata vincente, lo scatto, il dribbling, il tiro.
Solo una volta, d’istinto, ha colpito al volo, come sa, una palla vagante in area di rigore e noi tutti, da lassù, abbiamo percepito che sarebbe finita in fondo al sacco se uno stinco, un anonimo stinco maledetto, non l’avesse deviata in angolo, con Frey chiaramente battuto. L’avevamo intuito sin dall’inizio che non sarebbe stata la sua giornata, quando lo abbiamo visto protestare platealmente con l’arbitro e questo gli succede quando sa di non essere al meglio, quando capisce che non sta giocando ai suoi livelli. Allora s’impenna, il campione, e “sbarella”, ogni fischio contrario è un fischio ingiusto e lui corre verso l’arbitro e, più che a parole, lo maltratta con i gesti: è una specie di ribellione contro il destino cinico e baro, che non gli regala più niente, tanto meno un po’ di indulgenza verso un campione un po’ stanco, che lui – il fato – ha maltrattato di recente in maniera anche crudele. A cominciare con il gravissimo infortunio al ginocchio, per proseguire con i vari altri infortuni muscolari (cui è soggetto periodicamente), per finire con la doppia squalifica a Cagliari, alla vigilia di un doppio turno di partite casalinghe, che avrebbero potuto – e dovuto, con lui in campo – capovolgere il corso di quest’annata disgraziata. Tutta una serie di circostanze avverse, alle quali evidentemente non è stato capace di ribellarsi per tornare il “salvatore della patria”, che tutti conosciamo e per il quale deliriamo da cinque anni.
Ma tutto questo non deve suonare come un verdetto di condanna verso il capitano, come se l’ennesimo flop di ieri sia addebitabile solo alla sua grigia prestazione: tutt’altro. E’ solo lo sfogo di uno dei suoi mille e mille tifosi, nient’altro che un grido di dolore che vuol toccare il suo cuore, con la speranza che il campione torni campione e abbia ancora tempo e modo per farci restare in serie A. Il che più che un’impresa, a questo punto, avrebbe i connotati di un miracolo, un vero miracolo e siccome io non credo ai miracoli – in generale e nel calcio in particolare – mi sia consentito di tremare di paura al solo pensiero che tra qualche settimana non avremo neanche il conforto dell’aritmetica e tutto, proprio, tutto avrà il sapore della condanna. Della “giusta” condanna, visto com’è stata condotta la campagna di mercato estiva e tutto il resto, compresi i rimpasti fra allenatore e direttore sportivo: solo tre settimane fa, con due che se ne vanno e altrettanti che arrivano o ritornano. Con un caos indescrivibile a confondere le poche idee buone rimaste e gettarci completamente nel marasma. Sì, il presidente ha parlato bene, ci ha messo pure il cuore, nell’ultimo suo incontro con la stampa, ma se il vaso si è rotto e perde acqua da tutti i lati non bastano le parole e i buoni propositi (tardivi) a rimetterlo a posto. Così è arrivato Malesani, ciuffo ribelle e idee… invece no: lui parla di equilibrio e intensità ed è giusto, sacrosanto, tant’è vero che con lui al timone la fase difensiva del Palermo è palesemente migliorata: due soli gol subiti in tre partite ed entrambi su azioni da fermo (punizione col Pescara e rigore col Chievo). Ma, di contro, non è per niente migliorata quella d’attacco, anche se sono arrivati gli argentini. Certo, non è colpa sua se i vari Formica, Faurlin, Boselli e Sperduti vengono da altri campionati e, quindi, da altre realtà calcistiche; né è colpa sua se è arrivato da meno di un mese e anche lui si deve ambientare, nel senso che deve imparare a conoscere i giocatori a disposizione. E per tutto questo ci vuole il tempo che ci vuole, ma, vivaddio, se vuoi, se devi, vincere col Genoa, non puoi schierarti solo per non perdere: ieri hai rinunciato ai due ”esterni”, hai preferito Garcia a Dossena, hai piazzato Munoz nella linea a 4 a destra e sappiamo che lui difende bene, ma non fluidifica, non è mestiere suo. E poi hai rinunciato all’unica prima punta a disposizione, a Boselli, l’unico che sa dare profondità ed ha peso specifico per battagliare in area di rigore. Non per caso, infatti, l’unica azione gol costruita è spiovuta sul suo destro e poteva essere la vittoria. Non è colpa sua se, nel momento più delicato della partita, quando si stava rischiando il tutto per tutto per vincerla, Aronica si è fatto buttar fuori. Attenuanti, quindi, il mister ne ha a bizzeffe ma ciò non toglie che da uno come lui, con la sua esperienza e la sua vita vissuta tra retrocessioni sfortunate e salvataggi prodigiosi (leggi Bologna, 2010) un po’ più di ardimento me lo sarei aspettato. E non bastano più le parole, neanche quelle suadenti, tipo equilibrio e intensità, che ti sono tanto care: ora ci vogliono i fatti e siccome, anche dopo lo 0-0 di ieri, dichiari la tua fiducia nella salvezza, comincia dall’Olimpico di Torino , scendi in campo e aggredisci. Vediamo che succede…