Forse Vincenzo Agostino potrà cominciare a tagliare la sua lunga barba. Lunga ben 19 anni, da quando suo figlio Nino fu ucciso con la moglie Ida e quella morte divenne un mistero. Ora c’è un’intercettazione che getta un barlume di chiarezza.
In un’abitazione a Montesilvano, in provincia di Pescara, in tv danno un servizio in cui Vincenzo Agostino parla del biglietto trovato nel portafogli del figlio (“Se mi succede qualcosa andate a cercare nell’armadio di casa”). Una voce chiede cosa mai ci fosse in quell’armadio e un’altra risponde: “Una freca di carte che ho distrutto”.
Ed e’ la svolta nelle indagini sull’omicidio Agostino dei sostituti della Dda di Palermo, Nico Gozzo e Nino Di Matteo. Ad essere intercettato e’ Guido Paolilli, ex agente della squadra mobile di Palermo, oggi in pensione, e il suo nome e’ finito sul registro degli indagati per favoreggiamento aggravato alla mafia. Anche perche’ la squadra mobile di Palermo, dopo questo nuovo fatto, e’ andata a cercare nei suoi archivi piu’ polverosi, trovando una traccia, nascosta da anni, che confermerebbe che Nino Agostino non era un semplice agente del commissariato San Lorenzo, ma uno che si dedicava alla cattura dei latitanti. Cade cosi’ il movente passionale che lo stesso Paolilli aveva contribuito a costruire: era sua, infatti, la relazione di servizio che indirizzava gli inquirenti verso una vecchia storia che Nino Agostino avrebbe avuto con una donna imparentata con malavitosi.
Ma chi e’ Guido Paolilli. Andato via da Palermo ufficialmente nel 1985, tornava sovente come “aggregato” alla squadra mobile. Lui, sentito dai magistrati, sostiene che si occupava delle scorte. I suoi colleghi, interrogati in merito, gli attribuiscono una “attivita’ antimafia”. Anche nel 1989, quando avvenne il delitto Agostino, Paolilli era aggregato, ma subito dopo fu chiamato dall’Alto commissariato antimafia. Paolilli e’ stato inoltre nella lista dei teste di difesa al processo a Bruno Contrada, ex funzionario del Sisde, condannato per concorso in associazione mafiosa. Una storia a cui si aggiunge la scoperta che una parente acquisito degli Agostino fosse in stretti rapporti con i Brusca di San Giuseppe Jato. Resta a galla il dubbio che Nino Agostino collaborasse con i servizi segreti e quello della scia di sangue che ha travolto, oltre lui, anche Emanuele Piazza e Gaetano Genova. Agenti alla ricerca di latitanti accomunati dalla stessa fine, sono tutti morti misteriosamente.
Vincenzo Agostino, il padre di Nino, da quel giorno decise di non tagliarsi piu’ la barba fino a quando non sarebbe stata fatta giustizia e ad ogni importante operazione di polizia contro Cosa nostra e’ in prima fila per ringraziare gli agenti. Oggi potra’ dare una prima spuntatina alla sua folta barba.