Il caso Russo spacca a metà il Pd - Live Sicilia

Il caso Russo spacca a metà il Pd

Il no di Lupo e Crocetta a Massimo Russo riapre la ferita tra filogovernativi e antilombardiani che ha spaccato il Partito democratico negli ultimi anni. E vede scontrarsi due linee: quella che vuole rimuovere il passato e quella che punta a rivendicare quanto di buono realizzato al governo.

Verso le regionali
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PALERMO – Con la consueta franchezza, Antonello Cracolici ha centrato il tema affidando a Facebook il suo pensiero: “Mi ricandido perché le battaglie mi piace farle a viso aperto, mettendoci la faccia. Non sono come chi si nasconde, o dice ‘io non c’ero’”. Lo psicodramma del Pd siciliano è reso bene dalla perifrasi usata dal suo capogruppo all’Ars. I democratici, infatti, si ritrovano ad affrontare una difficile campagna elettorale camminando sul filo sottilissimo della “discontinuità” rispetto al governo Lombardo, disconosciuto in extremis dal partito guidato da Giuseppe Lupo.

L’ambiguità di fondo emerge a ogni occasione. L’ultima è legata a Massimo Russo, il pm che volle farsi politico, che dopo la rottura con Lombardo avrebbe gradito accasarsi dalle parti di Rosario Crocetta. Il candidato presidente, anche alla luce dei niet delle segreterie di Pd e Udc, ha riposto con un no grazie, malgrado gli attestati di stima rivolti in un recente passato a Russo. Una scelta che non è piaciuta a pezzi del partito. Il primo a dirlo ad alta voce è stato il bivonese Giovanni Panepinto, seguito da Baldo Gucciardi e Nino Papania, che hanno definito Russo “una risorsa”. Analoga presa di posizione da Benedetto Adragna. Ancora più esplicito Cracolici, che scrive: “Ci sono persone come Massimo Russo che possono degnamente essere al nostro fianco per cambiare la Sicilia”, liquidando come “miopia politica” l’atteggiamento di quel pezzo di coalizione “che sembra muoversi sul solco del settarismo e dell’autosufficienza”. Di tutt’altro avviso, oltre a Lupo, Bernardo Mattarella, che considera un capitolo chiuso il rapporto con l’Mpa e confina al passato il capitolo Russo.

Ieri lo stesso assessore alla Sanità ha attaccato a testa bassa Giuseppe Lupo, che gli ha risposto per le rime. Il segretario resta fermo su una posizione intransigente, richiamandosi alla delibera dell’ultima direzione che ha escluso accordi con Lombardo e lombardiani. “Russo è ancora assessore e in un assessorato chiave – taglia corto Lupo -. Lui stesso ha ammesso degli errori, ma non ne ha tratto le conseguenze”.

Il dibattito è uno spaccato significativo della schizofrenia del Pd di lotta e di governo. Incalzati dai concorrenti di sinistra, i democratici sentono il bisogno di rimarcare quanto più possibile le distanze da Lombardo e da tutto ciò che a lui possa ricondurre. Ma cancellare gli ultimi due anni di storia politica non è possibile. E secondo Cracolici, non è nemmeno saggio. Il partito, così, rinnova in campagna elettorale la divisione interna che ne ha caratterizzato la vita nell’ultimo biennio. E ancora una volta è Lombardo a giocare il ruolo di grande divisore.

La partita è quella fra due linee, quella della rimozione e quella della rivendicazione. Cracolici e altri protagonisti dell’esperienza “governativa” ritengono sbagliato il tentativo di colpo di spugna che butti insieme bambino e acqua sporca, e rivolgendosi al proprio elettorato vogliono rivendicare quanto di buono realizzato dai governi sostenuti dal Pd. Altri, come Lupo e l’area Mattarella, già all’epoca allergici al patto col governatore, preferiscono una rigorosissima linea di rottura col passato, per non concedere altro vantaggio a Claudio Fava e alla sua coalizione (che, per inciso, non si è fatta troppi scrupoli a imbarcare pezzi di Mpa fino all’altroieri, su tutti Carmelo Lo Monte). E il gossip sul “patto della cravatta” tra Crocetta e Miccichè, malgrado la fiumana di smentite ufficiali, ha ulteriormente irrigidito questo atteggiamento da parte di chi predica il taglio netto col passato.

Lo scontro continua, insomma. E chissà che non sia il prologo di un’altra legislatura in cui, gioco forza, i destini di democratici e lombardiani potrebbero incrociarsi nuovamente in un’Ars senza una maggioranza decisa dalle urne.

 

 


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