ROMA – Si chiama #Stracult e va in onda da venerdì 16 settembre in seconda serata su Rai 2. Nell’evoluzione di Stracult, il programma di Marco Giusti che da oltre 15 anni racconta gli anni d’oro del cinema italiano, c’è la firma anche di un autore catanese: Stefano Raffaele. LivesiciliaCatania lo ha intervistato alla vigilia di questa sua nuova avventura. Chi conosce Stefano sa che lui vive in una sorta di macchina del tempo cinematografica. Può essere considerato un vero e proprio archivio vivente, uno che quando scherza con gli amici ricorda sempre una battuta tratta da una commedia italiana dimenticata. La sua passione ha origini lontane. Alimentata sin da giovanissimo fagocitando film in videocassetta. Poi il trasferimento a Roma, dopo la laurea in Giurisprudenza conseguita a Catania. Il suo ruolo nel team di Marco Giusti sembrava scritto nelle stelle perché sin da piccolo Stefano ha da sempre collezionato e classificato non solo film ma anche libri, riviste, manifesti e documenti vari riguardanti il cinema italiano del passato. Tutti materiali che adesso, a Roma, va a scovare nelle teche Rai e negli archivi privati più riservati.
Quest’anno al marchio di Stracult si aggiunge un Hashtag, perché?
“Perché l’approccio col mezzo televisivo da qualche anno è totalmente cambiato e spessissimo mentre si guarda un programma in tv si sta contemporaneamente sui social network a condividere opinioni su quello che si sta guardando, l’hashtag ricorda a tutti che su Twitter si parla anche di noi e chiunque può così partecipare”.
Parliamo un po’ di te. Pare che tu conosca a memoria intere scene, dialoghi, battute ma anche i nomi di componenti del cast artistico e tecnico e addirittura di semplici comparse di film italiani del passato più o meno noti, anche di serie B, o trash.
– “Innanzitutto direi di non etichettare certi film italiani degli anni ’70,’80 e ’90 come film trash. Questo è un termine di cui si è abusato tantissimo e che credo non renda merito alle pellicole italiane “di genere” che, oltre ad avere appassionato tanto pubblico, in diversi casi hanno anche fatto scuola a intere generazioni di cineasti, uno per tutti Quentin Tarantino. Inoltre c’è da dire, per chi non lo sapesse, che impegnati a fare quel tipo di cinema c’erano registi, sceneggiatori, tecnici e attori tra i quali, in molti casi, spiccavano nomi illustri della cultura italiana”.
Va bene, non me ne volere, non entriamo nel merito del lessico storiografico del cinema italiano, sono piuttosto interessato alla tua carriera e crescita professionale. Si racconta che quando eri studente alla NUCT (Nuova Università del Cinema e della Televisione) sembra che ci fossero alcuni professori che ti chiamavano a sedere accanto perché ti ricordavi a memoria scene e titoli di film dimenticati, anche dagli stessi protagonisti.
– Sorride discretamente – “si sarà successo qualche volta”.
Quando?
– Esita
Lo racconto io, sembra che un giorno alla NUCT un regista entrando in classe abbia chiesto: – dov’è quel ragazzo che sa tutto, venga si sieda accanto a me che oggi la fa lui la lezione.
– Stefano sorride e precisa: “Non è andata proprio così e non era un regista ma il maestro Stelvio Cipriani, grande compositore di colonne sonore, che quando non ricordava alcuni dati o sequenze di un film chiamava me come “enciclopedia vivente”… ma ammetto che negli ultimi anni sto perdendo colpi e non ricordo esattamente tutto ciò che invece avevo ben chiaro da ragazzo”.
Già da qualche anno, sei diventato uno degli autori di Stracult, uno dei programmi più amati dai cultori del cinema italiano.
– “Ebbene sì. Diciamo che la cosa singolare è che io seguivo sin dagli albori sia Stracult che gli altri programmi di Marco Giusti come spettatore appassionato e stranamente oggi faccio parte della squadra che li realizza”.
– Quindi hai trasformato la tua passione in lavoro, cosa molto complicata al giorno d’oggi, diciamo pure che “uno su mille ce la fa”, raccontaci tu come hai fatto?
“Non è stato facile. Non basta la passione e lo studio da autodidatta. Il mio percorso è stato segnato da varie tappe. Ho frequentato direzione della fotografia alla NUCT a Cinecittà; lì ho incontrato il grande direttore della fotografia Franco Di Giacomo, grazie a lui ho mosso i primi passi nel contesto lavorativo del cinema e della televisione. Successivamente, ho conosciuto Luca Rea regista e autore storico di Stracult e ho cominciato a collaborare con lui a vari progetti. Tramite lui, ho conosciuto Marco Giusti che mi ha accolto nella “famiglia Stracult”.
Parliamo un po’ di Catania. Tu vieni da Canalicchio, un quartiere di Catania, precisamente vivevi a “Le Terrazze”, un grande condominio che era una piccola comunità. Un vero e proprio microcosmo nel quale c’era, per semplificare, il “tipo” giusto, il musicista rockettaro, il brutto e il cattivo, lo sportivo, la bella del complesso. Esiste un collegamento tra questo “piccolo mondo” dove sei cresciuto e i film di genere ai quali ti sei appassionato?
– “In un certo senso sì, il condominio, come altre comunità, è un grande palcoscenico in cui s’incrociano tante storie di vita e questo mi ha sempre incuriosito molto. Per cui sì, c’è un legame.
Che genere di legame?
“Era come vivere immerso in tanti film di vario genere. Si andava da I ragazzi della 56° strada o I Goonies a film sentimentali anni ’80 come Bella in rosa o Amarsi un po’. Inoltre il condominio era popolato da personaggi degni delle migliori pellicole della commedia “pecoreccia” italiana come Vieni avanti cretino e W la foca. Per come la vedevo io, vivere in questo microcosmo, in effetti, era come essere protagonista di un bel film.
Sei cresciuto nella “raggiante” Catania degli anni ’80 e ’90, vivendo luoghi, strade e situazioni che avevano connotazioni identitarie molto forti. Penso ad esempio ai pomeriggi giovani in discoteca all’Empire, in eterna lotta con il McIntosh, o agli appuntamenti il sabato sera in via Monfalcone e le scorribande in vespa in giro per la città.
C’era secondo te una dimensione poetica o addirittura cinematografica di quella Catania?
“La dimensione cinematografica la puoi trovare ovunque nella vita. In quegli anni c’erano dei riferimenti culturali giovanili che segnavano una certa appartenenza al gruppo e c’erano quindi anche dei luoghi e dei ruoli simbolici facilmente riconoscibili, forse era tutto un po’ più poetico rispetto a ora. Le scorribande in vespa e i “pomeriggi giovani” in discoteca che hai citato prima, il vivere la città in un determinato modo che adesso mi sembra cambiato… oggi forse si sono persi alcuni punti di riferimento. Frequentare un certo luogo o vestirsi in un determinato modo non mi sembra offrire più una lettura chiara di certi codici e comportamenti giovanili. Sembra che ci sia una sorta di macedonia dove tutto è possibile e tutto è relativo. Onestamente non so dirti se oggi sia meglio o peggio rispetto a prima ma posso dirti che io, e molti miei amici, ci siamo divertiti molto”.
Catania che cosa ha acquistato e cosa ha perso.
“Io non sono mai stato uno fissato con Catania, anzi sono uno di quelli che contava di andarsene via e non tornare più. La città è cambiata moltissimo e a me sicuramente piaceva più prima. Gli anni ’80 e ’90 sono stati un periodo abbastanza complicato, ricordiamo tutti che la mafia uccideva per le strade senza farsi molti scrupoli e l’aria che si respirava era pesante. Noi ragazzi però riuscivamo a stare bene e fare “moda” e questo lo trovo molto “cinematografico”. Non ho ancora ben capito se questa cosa oggi si è un po’ persa tra i giovani d’oggi, spero di no”.
Se ti dovessero chiedere oggi: Catania o Roma, cosa sceglieresti?
“Negli anni ho cambiato idea su Roma dove, a mio avviso, la qualità della vita non è il massimo. Trovo la Capitale una città molto logorante per chi ci vive quindi appena posso io torno a Catania sempre. Roma è la città più bella del mondo, ma non è per niente facile viverci.
Un consiglio per chi volesse seguire le tue orme. Rimanere o lasciare Catania?
“Dipende. Nel mio caso, quindi per chi lavora nella tv, nel cinema e nello spettacolo in generale, se vuoi fare cose importanti devi andare via da Catania. Questo però è un mio punto di vista perchè sicuramente ci saranno molti miei colleghi soddisfatti del loro lavoro pur restando a Catania. Per quanto mi riguarda però, se un giorno dovessi decidere di tornare a vivere nella mia città credo proprio che cambierei attività perché non cercherei di inventare qui quello che faccio a Roma. Ritengo che purtroppo ci siano ancora dei luoghi dedicati dove c’è un terreno fertile per fare determinate cose a un determinato livello, pertanto in alcuni casi diventa un mega lusso poter restare e lavorare bene dove si è nati, sempre ammesso che si ami vivere nella propria “terra natia”.