CATANIA – Presa visione del comunicato sottoscritto dalle rappresentanze sindacali Cgil, Cisl e Ugl in data 15 febbraio, considerato che nello stesso si riscontrano accuse all’azienda, si evidenzia e precisa quanto segue:
In premessa:
L’azienda non ha da porre fine a fantomatiche “pressioni psicologiche nei confronti dei lavoratori” in quanto non le ha mai esercitate, né direttamente, né attraverso propri funzionari. Invitiamo in tal senso le rappresentanze sindacali firmatarie del comunicato ai lavoratori del 15 febbraio a esplicitare il significato delle proprie dichiarazioni, riservandoci, caso contrario, di agire nelle sedi più opportune per:
– tutelare l’onorabilità aziendale, che mai ribadiamo ha inteso interferire con la volontà dei lavoratori, né ha posto in essere iniziative in tale direzione;
– contrastare l’eventuale tentativo di alimentare un clima certamente non funzionale alla serenità dei rapporti tra azienda e lavoratori che può determinare tensioni sociali.
Nel merito poi si evidenzia quanto segue:
Cgil, Cisl e Ugl travisano e distorcono la realtà dei fatti quando riferiscono che «l’azienda ha rifiutato di incontrarci». L’azienda infatti ha incontrato il sindacato per settimane e settimane alla ricerca di una soluzione che salvasse le centinaia di posti di lavoro che essa ha finora garantito nonostante le difficoltà economiche evidenti e certificate dai bilanci in forte perdita e anche oggi l’azienda non ha rifiutato l’incontro per partito preso o per una scelta fatta a priori di non proseguire la trattativa sindacale.
La scelta dell’azienda di non incontrare il sindacato è stata imposta dal fatto che le comunicazioni che il sindacato preannunciava di volere dare, con la richiesta di incontro a seguito della assemblea dei lavoratori del 12 febbraio, erano state già ampiamente comunicate dagli organi di stampa, con dichiarazioni degli esponenti sindacali che preannunciavano il ritiro della firma da parte del sindacato all’accordo sottoscritto il 7 febbraio scorso. Dichiarazioni non solo mai smentite, ma anzi confermate dal fatto che il referendum previsto dall’accordo, che doveva tenersi nei giorni 13, 14 e 15 febbraio, non è stato mai indetto.
Il sindacato sa bene che di fronte a tale evenienza, stante il fatto che il ritiro della firma dall’accordo mette a rischio evidente la possibilità di continuità aziendale, gli amministratori dell’azienda hanno, per legge (ed essendo a tal scopo, e giustamente, già stati diffidati dal Collegio Sindacale) una sola strada da percorrere: convocare i soci senza indugio per comunicare, appunto, che in assenza dell’accordo viene messo a forte rischio il permanere delle condizioni per la continuità aziendale. Ogni altro comportamento da parte degli amministratori sarebbe contrario alla legge. Senza contare il fatto che venire meno unilateralmente da parte del sindacato a un accordo già sottoscritto dopo mesi di trattative, giustificherebbe da solo ampiamente, nell’ambito delle normali relazioni industriali, il dubbio dell’azienda sull’utilità e opportunità di ulteriori incontri. Quindi dire oggi che l’azienda ha rifiutato l’incontro significa solo volere scaricare sull’azienda responsabilità che essa certamente non ha.
È infatti noto al sindacato che l’azienda non è più nelle condizioni di assicurare continuità aziendale in assenza di interventi strutturali di riduzione dei costi produttivi. E sotto questo aspetto, per ciò che riguarda le notizie che circolano in azienda, è bene anche evidenziare che l’accordo sottoscritto, e poi ritirato dal sindacato, mirava sostanzialmente a:
– recuperare produttività a fronte di un costo medio del lavoro ben superiore alla media del settore con l’erogazione di una giornata lavorativa in più al mese (a fronte di un costo medio del lavoro superiore di oltre il 30% si chiedeva quindi un contributo in prestazioni lavorative inferiore al 3%);
– porre fine al dato di assenteismo oggettivamente insostenibile facendo riferimento alle prestazioni dei lavoratori più virtuosi (in azienda un terzo dei lavoratori non supera i tre giorni l’anno di malattia i restanti due terzi superano i 26 giorni l’anno). In tal senso l’accordo prevedeva (fatte salve le assenze per motivi oggettivi) una riduzione di paga giornaliera al superare di una soglia di assenze. Quindi l’accordo non toglieva nulla ai lavoratori capaci di assicurare una presenza ordinaria in azienda. Niente “mani in tasca” a differenza di quanto detto. Anzi, meglio, mani in tasca a chi non intende assicurare la prestazione lavorativa che deve essere assicurata dal salario.
Non è solo un problema di costi, è anche un problema etico, visto che chi si assenta in maniera certamente al di fuori della ragionevolezza mette a rischio il lavoro di chi invece rispetta in pieno il proprio contratto e non guarda a chi, fuori, il lavoro lo desidera, ma non lo trova.
Ci chiediamo allora e chiediamo al sindacato: come può sostenersi un’azienda, in un settore liberalizzato, avendo il peso di un costo medio del lavoro così alto e di un tasso di assenze così spropositato? Il sindacato sa bene che la concorrenza stabilisce i prezzi di vendita dei servizi: chi paga il più alto costo dei fattori produttivi? Come reggiamo la concorrenza con altri competitor (che peraltro hanno a Catania da parte dello stesso sindacato concessioni ben più alte rispetto a quelle concesse a Katàne che contribuiscono ad appesantire le condizioni di quest’ultima)?
Noi non crediamo certamente che vi siano strategie volte a determinare la scomparsa della Katàne dal mercato dell’handling a Catania, ma certamente senza una chiara assunzione di responsabilità quest’esito infausto sarà il più probabile. Non vogliamo insomma alimentare tensioni, ma non intendiamo nemmeno essere accusati domani di non avere detto la verità.
Infine, a ogni buon conto: l’accordo prevedeva un referendum tra i lavoratori che avrebbero potuto esprimere, con il loro voto, il proprio orientamento nella logica della partecipazione democratica. Il referendum non si è fatto, non è stato mai nemmeno indetto nonostante fosse previsto dall’accordo, è stata negata ai lavoratori questa partecipazione democratica. Non sta certo all’azienda entrare nel merito di queste dinamiche. Ma l’azienda non accetta che si ribalti la realtà dei fatti attribuendo a essa responsabilità che certamente non ha. Altrimenti saremo autorizzati a pensare che la si vuole buttare “in caciara”. E abbiamo il timore che la caciara finirà per travolgere i lavoratori, che rischiano di diventare le uniche vittime, mentre attorno ci si accusa reciprocamente con argomenti più o meno credibili.
Per questo l’azienda ha la precisa e ferma intenzione di fare piena chiarezza, senza tentennamenti, avendo la consapevolezza di potere sostenere, con trasparenza, le proprie posizioni nell’interesse del sistema, unico, formato da azienda e lavoratori.
Distinti saluti,
Il consiglio di amministrazione di Katàne Handling Srl