“Abbiamo bussato alle porte delle banche, ai familiari, agli amici più cari, adesso non abbiamo più cosa poter fare”. I toni sono drammatici, quasi disperati. I lavoratori del Cefop, da 13 mesi senza stipendio, alla vigilia dello sciopero generale della formazione professionale siciliana, si fanno “sentire” attraverso un’accorata lettera sottoscritta (al momento) da quasi 200 dipendenti e inviata, tra gli altri, anche al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, al premier Silvio Berlusconi, al governatore Raffaele Lombardo, e ai vari esponenti politici siciliani.
“Chi scrive svolge la propria attività da oltre vent’anni – si legge nella lettera – sempre con onestà, serietà e passione, tra innumerevoli difficoltà, legate soprattutto alle sempre precarie condizioni che hanno caratterizzato tale tipologia di lavoro. Se si considera che quasi costantemente le nostre retribuzioni sono state corrisposte con incredibili ritardi, che seppur connessi alle erogazioni dei finanziamenti regionali MAI abbiamo mutato il nostro impegno, continuando, comunque, a prestare la nostra attività, che è e rimane di pubblico interesse”.
Ma la situazione dei dipendenti Cefop è diventata ormai insostenibile e il futuro non è nemmeno così roseo, visto che l’ente è stato anche estromesso dal Prof. “Oggi viviamo il dramma – scrivono i lavoratori – della mancata corresponsione degli emolumenti maturati da ben oltre 13 mesi. Si sono succeduti eventi – continuano – che stanno molto al di sopra di noi, ma che ci stanno, da incolpevoli, stritolando”.
L’impressione, insomma, è quella di trovarsi all’interno di un meccanismo confuso e comunque che si muove al di sopra delle loro teste: “Paventate riforme di settore annunciate dal Governo Regionale Siciliano – scrivono infatti – ipotetiche riorganizzazioni amministrative inerenti il comparto, diatribe processuali, mancata applicazione di normative regionali da parte degli organi competenti, si sono alternate ed anche accavallate da ormai troppi mesi, portando all’unico e solo risultato che il LAVORATORI sono stati privati della loro fonte di sostentamento: il nostro STIPENDIO!
Da 13 mesi non ci viene corrisposta la retribuzione mensile e sopravvivere è divenuta già da tanto tempo un’ardua impresa. I pochi fortunati che possedevano esigue scorte di risparmio le hanno esaurite. È davvero inconcepibile che siamo noi, i LAVORATORI, a dovere pagare uno scotto così alto”.
E il senso di impotenza sfocia nell’umiliazione: “Siamo stati mortificati; la nostra dignità di padri e madri di famiglia – prosegue la lettera – è stata calpestata da squallidi giochi di potere politico–sindacale, il cui fine è tanto distante dalle reali e concrete riforme di settore cui l’intero ambito necessiterebbe davvero. Nonostante tutto ciò noi non abbiamo mai smesso di prestare la nostra attività nei luoghi di lavoro, con dignitosa e meticolosa attenzione, sempre più mortificati, guardando però negli occhi i nostri figli, cui dobbiamo sempre più spesso negare la soddisfazione delle loro richieste. Chi ci nega lo stipendio? Trovare il colpevole è un’impresa ardua !!!
Rimpalli di attribuzione delle colpe non ci interessano più, sappiamo di certo di essere INVISIBILI e
come tali non esistiamo agli occhi di nessuno”.
Quindi, l’appello alle istituzioni: “Questa – scrivono – è un’emergenza sociale, ci rivolgiamo a Voi perché tempestivamente possiate individuare gli organismi competenti, perché si ponga fine a tale incresciosa e paradossale situazione, anche e soprattutto in considerazione del fatto che la disperazione tra molti lavoratori è ormai tangibile e gesti inconsulti da più parti sono stati ripetutamente paventati. Vi preghiamo di individuare un percorso che porti ad una soluzione del problema retributivo dei lavoratori che ormai è emergenza sociale. Non siamo più nelle condizioni di attendere oltre, neppure un solo minuto; ci viene negato il pane quotidiano che il nostro lavoro ci dovrebbe consentire di guadagnare e di ciò ci vergogniamo! Questa vergognosa ci rende vittime che, senza colpa, stiamo pagando un prezzo altissimo! Auspichiamo interventi risolutivi. Qualcuno – si chiude la lettera – raccolga il nostro grido disperato!”.