E’ rischioso scrivere di Nino Mandalà. Si sfiorano i limiti della coscienza e del baccano. C’è il pericolo della topica, pure partendo dal lindore. Si rischia troppo. Non si vorrebbe mai reggere il bordone a un mafioso, neanche per il contrappeso della scomoda onestà di concetti. Non si dovrebbe mai abbandonare il dubbio, nemmeno sull’innocenza a margine di una colpevolezza confermata in appello. L’atteggiamento migliore è mettere insieme i fatti, lasciando alla lettura il compito di ordinarli secondo inclinazioni, gusto, etica e principio. Certo, interrogandoci sull’identità di demonio o persona dell’interessato. Ma sapendo che ci sono parole in questa storia che pesano a prescindere. E su cui vale la pena di riflettere.
Dunque, riordiniamo le cose note. Sappiamo che Mandalà è stato condannato, con un’accusa molto grave: una di quelle imputazioni che provocano la morte civile. Ci soccorre l’archivio: “Condannato martedì scorso dai giudici d’appello a 8 anni per mafia, e considerato il boss di Villabate, Nino Mandalà (nella foto) non andrà in carcere: il collegio che gli ha inflitto la pena (presidente Giancarlo Trizzino) ha respinto la richiesta di arresto avanzata dalla procura generale di Palermo guidata da Luigi Croce. Per i giudici, secondo quanto scrive Repubblica-Palermo, “non ci sono specifici elementi probatori dai quali desumere che Mandalà in concreto stia per darsi alla fuga o abbia in animo di farlo”. Inoltre, spiegano nelle motivazioni i giudici, Mandalà ha già subito “un congruo e prolungato periodo di custodia cautelare”. Nino Mandalà, padre di Nicola, condannato all’ergastolo, è libero da due anni, dopo che in appello era stato assolto da una condanna a 4 anni per intestazione fittizia dei beni, vicenda legata al progetto del centro commerciale di Villabate”.
L’uomo di Villabate ha deciso di chiudere il suo blog. Lunedì una sua lettura circa le diverse morali, a proposito di Parlamento e arresti: “Eravamo convinti che la morale fosse una costante severa che non guarda in faccia a nessuno e non fa sconti. Abbiamo imparato invece che essa è una variabile che va applicata a seconda dei casi. Ce lo ha insegnato la vicenda del deputato Pdl Milanese che, graziato dalla Camera, ha evitato di finire a Poggiorreale a fare compagnia al suo collega Papa. Due storie uguali ( o forse quella di Milanese è un tantino meno uguale ), due morali diverse, che confermano una consuetudine ormai consolidatasi nel nostro Parlamento, la consuetudine all’incoerenza”. Interventi e posizioni sottolineati da ‘Alessandra Ziniti di “Repubblica’: “Nino Mandalà ha affidato al suo blog alcune riflessioni sulle ultime vicende politiche nazionali che hanno incuriosito non poco gli inquirenti che non escludano che, tra un apprezzamento e l’altro sull’operato di uomini del governo, possano celarsi messaggi. Mandalà ha sempre avuto il pallino della politica. Socio di uno dei primissimi club di Forza Italia a Palermo, è stato sempre lui a tenere i rapporti con gli uomini politici, come raccontano diversi pentiti”.
Nell’ultimo messaggio in bottiglia il presunto capomafia annuncia l’epilogo: “Ho deciso, chiudo il blog. Mi arrendo agli asinelli che nascondono dietro nickname anonimi i loro deliri orgasmici e alle bocche di fuoco di certa stampa potente con la quale non posso competere. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è l’articolo apparso su ‘la Repubblica’ a commento del mio ultimo post dal titolo ‘Le diverse morali’. Chi lo legge si può rendere conto che si tratta di un post innocente che fa una scoraggiata analisi della situazione politica italiana, che può essere condiviso o meno, di cui si può censurare, che so, la presunzione nell’affrontare tematiche di cui non mi si ritiene all’altezza, che può fare storcere il naso a qualcuno e fargli dire: “ Ma chi si crede di essere questo Mandalà”, ma non può suscitare letture diverse da quelle che il post merita”.
Un lettore lo rimprovera in un commento: “Questo paese è quello che è perchè infestato da gente come lei e da gente che scende a patti con quelli come lei. Riacquisti un barlume di dignità denunciando i suoi complici e contribuisca a migliorare questo paese”. Mandalà rimanda al mittente. Puntualizza, a proposito di Milanese: “Non conosco le carte processuali e non mi posso pronunciare ma in linea di principio sono contro la detenzione preventiva nei confronti di chiunque così come è prevista in Italia”. E ancora: “Io ho 72 anni, non sono il delinquente che si vuol far credere tanto che ho riportato due assoluzioni con formula piena, sono afflitto da numerose patologie, ho subito tanti anni di carcerazione preventiva da andare quasi in pari con la mia condanna che, ricordiamolo, non è definitiva”. Ecco l’ordito. Il lettore può ricucirlo come gli pare. Vale la pena di ricamare un pensiero sui pensieri, senza che si sappia se provengano da un demonio o da una persona? Forse sì. Ma è un rischio grave, con l’abisso a un centimetro. Un commentatore chiosa: “Io non posso giudicare il suo passato ed eventuali scheletri nell’armadio se ne ha, ma in un paese democratico vige la libertà di parola”. Davvero?