PALERMO – Chiamarlo battesimo di fuoco è forse dir poco. Quello che ha atteso Fausto Raciti nei suoi primi giorni alla guida del Partito democratico siciliano è stato un autentico fuoco di fila di emergenze e patate bollenti. Che hanno permesso però al giovane neosegretario di mettere in mostra carattere e personalità.
Se qualcuno aveva immaginato che piazzare un giovanissimo alla guida del partito avrebbe permesso alle correnti di avere mani libere e gestire nei fatti la baracca (alle volte a pensar male…), quel qualcuno pare abbia sbagliato e di molto i suoi calcoli. Raciti si è mosso in queste prime settimane con decisione, fronteggiando la crisi di governo, la spinosa pratica del rimpasto, il delicato caso Lumia e la bomba Genovese a Messina, con uscite sicure, nelle quali chi mastica di politica ha intravisto il latte dalemiano di cui s’è nutrito per anni il giovane virgulto scelto per la segreteria da Mirello Crisafulli e appoggiato alle primarie da un allegro e variopinto squadrone composto dal suddetto Crisafulli e dai suoi due acerrimi nemici Davide Faraone e Beppe Lumia.
A Rosario Crocetta non era parso vero liberarsi di un segretario che riteneva ostile come Giuseppe Lupo. E il sorriso sollevato con cui il governatore aveva accolto il giovane Fausto alla sua prima uscita la diceva lunga. Doveva essere quello l’inizio di una nuova fase nei rapporti tra partito e governo. E invece.
E invece, Fausto Raciti da Acireale, classe 1984, ha guastato un po’ la festa. Riprendendo, nei fatti, la medesima linea del suo predecessore (e sfidante alle primarie) Lupo. Ossia quella di incalzare il presidente della Regione per un “nuovo governo politico”, senza limitarsi a qualche aggiustatina, come nei desideri di Crocetta. Nel farlo, Raciti ha cercato e trovato la sponda dell’Udc, gestendo con intelligenza il rapporto con Gianpiero D’Alia. E mettendo in qualche modo all’angolo il governatore, che negli incontri bilaterali avrebbe assunto posizioni ondivaghe. Quando il problema viene alla luce, Raciti e D’Alia, in un vertice romano con Cesa e Faraone, mettono un punto alla fase dei faccia a faccia separati, incalzando ancora una volta Crocetta.
Nel frattempo si ingarbuglia la matassa delle Europee. Le pressioni per concedere l’ennesima deroga a Beppe Lumia crescono ma il segretario, supportato da buona parte del partito, tiene iil punto. Tirando dritto, fino al voto della direzione che partorsce una lista senza il senatore di Termini. Con buona pace di vecchi e nuovi big del partito, che tra Roma e Palermo lavoravano (e lavorano tutt’ora, pare) per un epilogo opposto. Raciti non molla. In una tesissima riunione di gruppo affronta le obiezioni animate del capogruppo Baldo Gucciardi, sempre più vicino all’asse Crocetta-Faraone, si impunta su un documento che blinda la lista votata dalla direzione, documento che rischia di non essere votato (per Raciti sarebbe stato un passo falso) e che invece alla fine, con la mediazione di Cracolici, passa.
E si arriva a oggi, con la mossa del cavallo nella partita a scacchi dell’antimafia applicata alla politica. Crocetta si lamenta perché manca l’antimafia in lista? Ecco trovata la figurina che mancava: Caterina Chinnici, curriculum antimafioso doc e una esperienza da assessore di Raffaele Lombardo. Palermo risponde così a Roma, il giovane Fausto – che da subito, insediandosi, mise in chiaro che la legalità da sola non bastava – gioca la sua carta, tiene a precisare che Caterina, persona seria e inattaccabile, non è scelta solo per il cognome e tira dritto, con coraggio. Come quando, dopo le nomine dei manager propinate all’improvviso da Crocetta, con spirito revanscista per l’esclusione di Lumia, Raciti non esita a inviare un comunicato di fuoco, che parla di nomine in ossequio ai “desiderata del cerchio magico” e dice di un Pd pronto all’opposizione se Crocetta pensa di andare avanti su questa strada. Lo stesso copione, insomma, della segreteria Lupo, che per il governatore fu una costante spina nel fianco. Raciti non è da meno. Anche quando, con un perfetto gioco di sponda con D’Alia, si muove per stoppare sul nascere la pazza idea dell’ingresso di Antonio Ingroia in giunta. “Spero sia un errore”, dice Raciti senza fare sconti. Anche se a Palazzo d’Orleans, ormai, non se ne aspetta più nessuno. E neanche a Roma, probabilmente.