CATANIA – Affari e contatti sempre più stretti tra Cosa nostra catanese e le ‘ndrine calabresi. Un rapporto fiduciario che sarebbe andato oltre lo storico business del traffico di droga, ma si sarebbe allargato anche ai supporti logistici e di copertura da fornire ai latitanti nei territori della Sicilia orientale. In particolare del siracusano. La cupola catanese avrebbe dato, secondo gli investigatori della Dia, il suo “assenso” per far trascorrere la latitanza del boss Vincenzo Alvaro, il capo indiscusso della ‘ndrina dei Sinopoli, nella frazione siracusana di Belvedere. Luogo dove poi è stato catturato lo scorso ottobre. E’ uno dei punti focali della lunga relazione della Direzione Investigativa Antimafia che analizza indagini e inchieste del secondo semestre del 2016. Un passaggio fondamentale per cristallizzare gli assetti – sempre più mutabili – delle cosche che operano tra Catania, Caltagirone e i comuni dell’Etna.
I boss catanesi dunque, secondo la Dia, avrebbero acconsentito ad accogliere Alvaro, che non dimentichiamolo rappresenta uno dei nomi simbolo dei canali di approvvigionamento della droga. Soprattutto della cocaina. Senza però tralasciare le joint venture tra le cosche catanesi e la Camorra napoletana. Sarebbe stato quindi concesso un favore allo scopo di non rompere preziosi equilibri in tema di business degli stupefacenti, che rappresenta “l’affare per eccellenza, quello più remunerativo e con un inesauribile bacino di utenza”, scrive la Dia. Le inchieste però aprono nuove rotte per la polvere bianca, come quelle dell’Olanda. La retata Baly dei Carabinieri di Gravina di Catania aveva scoperto squarci sull’asse Etna – Paesi Passi. Malviventi che quasi volevano fare concorrenza al cartello del narcotraffico controllato dalla criminalità organizzata.
Le roccaforti dello spaccio restano le stesse: San Cristoforo, Galermo, corso Indipendenza e Librino. L’operazione Carthago dello scorso luglio smembra l’impero della droga creato negli anni dal narcotrafficante Andrea Nizza, oggi al 41bis. Il potere è diviso tra diversi clan, i Santapaola e i Mazzei sul fronte di Cosa nostra catanese e poi i Cappello-Bonaccorsi e i Cursoti Milanesi. Senza dimenticare il radicato potere dei Laudani nell’hinterland etneo, mentre nel calatino la famiglia La Rocca (direttamente collegata ai vertici palermitani) fa ancora tremare. Parlando di stupefacenti, la mafia pare correre ai ripari. I massicci controlli delle forze di polizia sui pescherecci in arrivo dall’Albania con tonnellate di marijuana e hashish, alcune volte già intercettate in Puglia e in Calabria, ha portato a una sorta di “investimento” a chilometro zero. Si produce in loco la marijuana (anche skunk) e nei ultimi mesi del 2016 sono state sequestrate diverse piantagioni.
I clan catanesi sono armati fino ai denti. La Dia parla di “una significativa disponibilità di armi da parte delle organizzazioni mafiose e non solo, a riprova di un una spiccata propensione a commettere reati da parte della delinquenza locale”. Avere arsenali a disposizione accresce la forza militare e la capacità di intimidire. Le organizzazioni criminali si nutrono di omertà e paura. La prevaricazione è il cemento del racket delle estorsioni, fenomeno criminale che è il mezzo primario del controllo del territorio. Commercianti e imprenditori schiacciati dalle prevaricazioni dei clan e molte volte incapaci anche a denunciare o ad ammettere di essere vittime. E sono molti, infatti, “gli indagati per favoreggiamento”. Un dato evidenziato nella relazione della Dia, facendo riferimento soprattutto alle inchieste che hanno riguardato il triangolo della morte: Adrano, Paternò e Biancavilla.
La Dia di Catania guarda anche dentro i palazzi della Pubblica Amministrazione. Ad ottobre gli investigatori guidati da Renato Panvino scoprono un giro di mazzette che coinvolge l’ex sindaco di Aci Catena Ascenzio Maesano e un imprenditore che forniva servizi hardware e software al comune etneo. Il pugno duro la Dia poi lo ha assestato ai polmoni finanziari dei clan, aggredendo ingenti patrimoni illeciti. In particolare a personaggi vicini ai Santapaola e ai Laudani. Le azioni sono arrivate anche nei boschi dei Nebrodi dove avrebbe radicato il suo potere il boss di Bronte, Turi Catania. Tra i pistacchieti e i pascoli il clima è di violenza e terrore.