PALERMO – Per anni è stato l’insospettabile fattorino di un albergo confiscato alla mafia. Poi, si è scoperto che Giuseppe Arduino avrebbe avuto un ruolo di primo piano nel clan di Brancaccio. Era il 2011 e la Squadra mobile lo arrestava nel blitz Araba Fenice.
Iniziarono le indagini patrimoniali del Nucleo di polizia tributaria di Palermo che oggi sono sfociate nel sequestro di quattro immobili e un terreno (in contrada Guarnaschelli e via Francesco Milo Guggino), due macchine e alcuni conti correnti. Il tutto per un valore di un milione di euro.
I finanzieri agli ordini del colonnello Francesco Mazzotta hanno fatto i conti in tasca ad Arduino, che nel frattempo è stato condannato in primo grado a sedici anni, alla moglie Francesca La Placa e al figlio Vincenzo. Dal 1998 al 2011 Arduino ha dichiarato al fisco redditi che non superavano i 19 mila euro all’anno, frutto del suo lavoro all’Hotel San Paolo Palace. Nel 2012 la dichiarazione raggiunse 27 mila euro per via del trattamento di fine rapporto ottenuto dall’albergo. La moglie denunciò solo 206 euro nel 2006, mentre il figlio duemila e 900 euro nel 2012.
“Si tratta, con tutta evidenza, di redditi modesti, largamente inferiori a quelli calcolati dall’Istat come spesa familiare media mensile ed annua per una famiglia di quattro persone residente in Sicilia – si legge nel provvedimento di sequestro della sezione Misure di prevenzione – che consentirebbero dunque a malapena il sostentamento di un nucleo familiare composto da quattro persone. Orbene, ad avviso del collegio sussistono allo stato fondati motivi per ritenere che i beni – concludono i giudici Silvana Saguto, Fabio Licata e Lorenzo Chiaramente – possano essere di origine illecita”.
Le indagini della polizia piazzarono Arduino assieme a Cesare Lupo, Nino Sacco e Giuseppe Faraone al vertice del clan saldamente in mano ai fratelli Graviano nonostante siano reclusi ormai da anni al 41 bis. Arduino era, secondo l’accusa, uomo del pizzo. D’altra parte i soldi del racket sono stati sempre necessari per sostenere economicamente i familiari dei Graviano. Gli uomini di Brancaccio raccoglievano i piccioli delle estorsioni e li portavano a Nunzia Graviano, sorella dei capimafia pure lei finita in manette. “Permette?…O mi runa i picciuli subito…perché noialtri siamo autorizzati a venire qua… tu mi runi duemila euro subito”, diceva Arduino con tono deciso ad uno dei tanti imprenditori taglieggiati.
Ecco come venne ricostruita la sua trasferta a Roma per consegnare il denaro a Nunzia. Venti minuti dopo le 14 del 23 dicembre 2010, una Mercedes lascia il parcheggio dell’Az Trasporti di via Salvatore Cappello. Azienda che sarebbe poi stata sequestrata perché riconducibile a Cesare Lupo. A bordo ci sono due uomini. Il passeggero è Arduino. Da lì in poi avranno sempre alle calcagna i poliziotti della sezione Criminalità organizzata della Squadra mobile. Ore 16.40: la macchina giunge a Messina e trova posto sul traghetto della Caronte. Sbarca a Villa San Giovanni e si immette sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria in direzione nord. Ore 00.50: la Mercedes raggiunge il Grande raccordo anulare di Roma. Ore 02.46: la vettura transita in via Santa Maria Goretti, quartiere Trieste, nel cuore dei Parioli, una delle zone più signorili della Capitale. L’auto si ferma all’altezza del civico 16. Arduino scende dalla macchina. Sotto una pioggia battente, si dirige verso il portone al civico 16. Poi, è tornato in auto, ha aperto il bagagliaio per prelevare alcuni pacchi. Dentro c’erano, secondo l’accusa, i soldi della cosca. In quella casa abitava Nunzia Graviano. I soldi erano per lei.