13 Giugno 2014, 16:14
3 min di lettura
PALERMO – “La dignità dell’uomo va difesa, sempre comunque”, l’avvocato Debora Speciale esprime tutta la sua soddisfazione per quella che definisce “una pagina di buona giustizia. Anzi, di giustizia giusta”. Ha saputo che il suo cliente, Vito Mangiaracina, lascerà il carcere. Perché, nel suo caso, è stata superata la “soglia dell’umana tollerabilità”.
Un mafioso, ergastolano, colpevole di omicidio, andrà ai domiciliari. E per curarsi. Perché il boss di Mazara del Vallo, 78 anni, è gravemente malato. È stato colpito anni fa da ictus. Ormai non si alza più dal letto della sua cella. Ha bisogno di una corretta fisioterapia riabilitativa. È già stato pure individuato l’ospedale dove i sanitari per un anno si occuperanno di lui, il Vittorio Emanuele III di Salemi. Il dirigente della Struttura complessa di Medicina interna ha già dato la disponibilità ad accoglierlo.
Il Tribunale di Sorveglianza di Bari, perché è a Bari che Mangiaracina è detenuto, è categorico nella sua ordinanza. “Tale condizione di non autosufficienza, che rende necessaria l’erogazione di prestazioni assistenziali – scrive il collegio presieduto dal giudice Emma Manzionna – espone il detenuto a sofferenze aggiuntive, derivanti proprio dalla privazione dello stato di libertà in sé e per sé considerata, tali da superare la soglia dell’umana tollerabilità, rendendo l’esecuzione della pena incompatibile con i principi costituzionali di tutela del diritto alla salute e di divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, previsti dalla Costituzione”.
Ma chi è Vito Mangiaracina. Un boss della vecchia mafia trapanese. Un pezzo grosso. Oggi ha settantotto anni. La prima condanna per mafia gli è stata inflitta alla fine degli anni Novanta. In carcere ha trascorso ampie parentesi della sua vita. In cella c’è tornato nel 2008. E per sempre. Faceva parte della vecchia guardia della mafia mazarese che seminava morte e terrore agli ordini di Mariano Agate. Una mafia capace di eliminare con il piombo i dissidenti, soprattutto i boss di Alcamo, che alla fine degli anni Novanta decisero di mettersi in proprio. E fu guerra. Vito Mangiaracina è anche il padre di Andrea Mangiaracina, Il figlio, pure ergastolano, si trova al 41 bis a Cuneo dal 31 gennaio 2003, giorno in cui la sua latitanza finì in una villa nelle campagne di Marsala dove si nascondeva con il capomafia locale Natale Bonafede.
Vito Mangiaracina oggi, però, secondo il Tribunale di Sorveglianza di Bari, è soprattutto un soggetto anziano e malato e non ci sono elementi tali da ritenere che sia ancora collegato a Cosa nostra. Non ci sono pericoli, insomma.
L’ergastolano è semiparalizzato. Soffre di cardiopatia, depressione e crisi epilettiche. Il Tribunale ha affidato ad un perito la valutazione della compatibilità fra il regime carcerario e il suo stato di salute. Risultato: “Il perito, pur evidenziando che le malattie non sarebbero particolarmente gravi e comunque tali da consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere – ricorda il Tribunale – ha tuttavia sottolineato la necessità di sottoporre lo tesso ad intesa terapia occupazionale e riabilitativa neuromotoria per più ore al giorno e per più giorni alla settimana”.
L’assenza del trattamento fisiatrico nel tempo ha peggiorato il quadro clinico. Da qui la scarcerazione “al fine di evitare che il danno prodotto si traduca in un danno alla vita”.
Pubblicato il
13 Giugno 2014, 16:14