“Non c’è nessuno di noi che muore di fame, abbiamo solo voglia di dignità e libertà” racconta Nejia, madre di un figlio che tiene nel grembo, moglie di un marito rimasto a Tunisi, che non riesce a far venire in Italia. “Ogni giorno – continua – sente il fuoco per strada, la gente ha paura, non c’è pace”. Nejia è una dei partecipanti al corteo che ieri ha attraversato le strade del centro di Palermo accanto ai giovani della “rete dei collettivi studenteschi”, al “Coordinamento universitari in lotta” e al “Comitato di difesa”, nato dopo gli arresti di alcuni studenti, davanti al liceo Garibaldi, lo scorso settembre. Tramite Facebook sono riusciti ad entrare in contatto con alcuni giovani tunisini, e ad indire un corteo di solidarietà.
Nejia racconta anche di un padre che dopo sessanta anni di lavoro, riceve una pensione che equivale a circa 70 euro. I saccheggi e le razzie che stanno avvenendo nel suo paese sarebbero compiuti da “persone vicine a Ben Alì (l’ex presidente tunisino fuggito in Arabia), che vogliono dimostrare come con lui la Tunisia stesse molto meglio che adesso”.
“Hanno bruciato tutto, hanno rubato tutto. Hanno dato fuoco anche a un carcere vicino al mio paese, sono morti in più di 50. Dopo le cinque non è possibile uscire, non si può andare a lavorare e solo le scuole sono aperte. Siamo qui perché vogliamo tutti i soldi che ci ha rubato” dice Samjia un altra donna tunisina, che è venuta manifestare insieme ai suoi figli. Lei vive a Palermo con suo marito e i suoi bambini ma i suoi parenti sono in Tunisia.
“Io ho paura perché in questo momento non so se la mia famglia è al sicuro. Sto in Italia da 23 anni, mia figlia ne ha 27 e sono sette anni ce cerca un lavoro” Racconta invece Mohamed. Poi Ouaad, un’altra giovane madre con il viso coperto dal velo nero, tira fuori un cartellone che contiene alcune foto. Sono volti di giovani ragazzi stesi a terra, feriti, morti. Ouaad racconta che qualche giovane si è bruciato vivo, in segno di ribellione.
Ieri mattina la protesta è arrivata di fronte al consolato tunisino. “Lo abbiamo fatto per chiedere al console di andarsene, perché espressione del governo di Ben Alì e per rendere conto di tutte le persone che sono state vittima dei suo soprusi” spiega Safà, una giovane studentessa al terzo anno di Lettere e filosofia a Palermo. Al consolato è stata ricevuta una donna, “dicono che avesse perso suo fratello. Si sarebbe dato fuoco, a soli 23 anni” continua Safà. Lei ha raggiunto qui i suoi genitori perché nella sua università doveva tenere il velo. Safà spera di tornare: “So che si risolverà tutto, ma prima tutta l’amministrazione di Ben Alì se ne dovrà andare. Quando tutto sarà più tranquillo, potremo scegliere, liberi”.