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Il gratta e vinci della mafia

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Giovanni Bianconi, Corriere della Sera

Uno magari non lo sa, ma pu­re concedersi un semplice svago può contribuire a fi­nanziare la mafia. Non sempre, ov­viamente, ma capita. Più spesso di quanto ci si possa immaginare. Ba­sta entrare in una sala giochi – ap­parentemente come le altre, ma in re­altà controllata da qualche «padri­no » -, esercitarsi al Bingo o con qualche macchinetta di videopoker, e si finisce per rifornire di soldi Cosa nostra. Oppure la ‘ndrangheta, o la camorra. E non solo nelle regioni del Sud, perché ormai i clan hanno messo le mani anche su molti eserci­zi del centro e del Nord Italia.

Col passare del tempo gli investi­gatori hanno scoperto un interesse sempre maggiore delle cosche al gi­ro milionario delle scommesse, non solo clandestine, e di ogni altro gene­re di giochi. Perfino i più innocenti e alla portata di tutti, come il Gratta e vinci. L’indagine palermitana sugli uomini del mandamento mafioso di Brancaccio ha fatto venire alla luce un sistema escogitato dalla «fami­glia » per imporre a bar e tabaccherie i tagliandi di quel tipo di lotteria at­traverso una società che faceva capo a Giovanni De Simone, considerato fra i principali boss locali.

Nelle intercettazioni, gli agenti della Squadra mobile di Palermo hanno ascoltato più volte la voce del suo capomafia che spiegava: «Tu gli porti il Gratta e vinci e gli dici: va be­ne, prenditi il Gratta e vinci che io ti do un po’ di schede da 5 e da 10 euro (probabilmente ricariche telefoni­che, ndr). Insomma, gli dai un’age­volazione per entrare… Perché il ve­ro guadagno è il Gratta e vinci, capi­to?».

La Direzione centrale anticrimine della polizia, con il Servizio centrale operativo, ha messo in piedi dal 2002 una struttura di supporto alle questure per intensificare le indagi­ni proprio in questo settore. Si chia­ma Polizia dei giochi e delle scom­messe, e solo negli ultimi sei mesi del 2008 ha portato all’arresto di 88 persone, alla denuncia di altre 288 a piede libero, al sequestro di cinque esercizi commerciali e di centinaia di schede hardware e apparecchi elettronici «da intrattenimento». Dal 2002 gli arresti sono stati 701, le persone denunciate 6.434 e i seque­stri pari a un valore complessivo di oltre 11 milioni di euro. Tra gli arresti dell’ultimo periodo spiccano (61 su 88) quelli in cui l’ac­cusa è di «associazione di tipo mafio­so finalizzata alle estorsioni nell’am­bito della gestione degli apparecchi elettronici da intrattenimento e del gioco d’azzardo», a dimostrazione dell’espansione di quelle organizza­zioni in questo settore. Con obiettivi che non si limitano alla gestione del­le scommesse, di qualunque genere esse siano, per raccogliere denaro li­quido. L’acquisto o comunque il con­trollo delle sale Bingo attraverso so­cietà di copertura e prestanome, è anche un modo sicuro per riciclare i soldi provenienti da droga e altri traffici; e al tempo stesso significa poter disporre di luoghi dove instal­lare le «macchinette» dei videopo­ker e altri giochi (magari «tarocca­te ») che a loro permettono di accu­mulare altro denaro, oppure gestire le scommesse clandestine con offer­te di quote superiori a quelle lecite e ufficiali.

Sempre in Sicilia, le indagini sulla cosca guidata da Salvatore Lo Picco­lo e suo figlio Sandro hanno svelato il controllo dei mafiosi sui giochi at­traverso due personaggi come Gre­gorio Botta detto «Frutta» e Fabio Micalizzi chiamato «Spagna». Il pen­tito Francesco Franzese ha racconta­to che «quando un circolo, un bar, vuole utilizzare delle apparecchiatu­re videopoker, Botta impone che il ri­cavato vada sempre ripartito al 50 per cento tra la famiglia mafiosa e il titolare delle macchinette… Il Botta si occupava e si occupa per conto di Sandro Lo Piccolo di gestire le slot machine e tutto il settore delle scom­messe, sia clandestine che legali». Tra i pizzini ritrovati al momento dell’arresto dei Lo Piccolo c’erano pure quelli firmati da «Spagna», con i rendiconti dettagliati del denaro raccolto da «Frutta» nella sua attivi­tà di controllo sui giochi.

La scorsa settimana un’inchiesta della Direzione distrettuale antima­fia di Napoli ha portato al sequestro di società, beni mobili e immobili per un valore complessivo superiore a 150 milioni. La sala Bingo di viale Zara a Milano, quella di Cernusco sul Naviglio, e altre di Cologno mon­zese, Cremona, Lucca, Padova, Bre­scia, Ferentino in provincia di Frosi­none e Teverola vicino a Caserta so­no state sigillate perché giudicate ri­conducibili alla camorra napoletana e dei casalesi. Il principale inquisito – Renato Romeo, latitante, accusa­to di concorso in associazione mafio­sa – era in rapporti con un certo An­tonio Padovani, un catanese arresta­to a gennaio dai magistrati di Calta­nissetta perché considerato «l’uomo di riferimento del clan Madonia» nel­le operazioni per reinvestire il dena­ro «in alcuni centri scommesse nei comuni di Caltanissetta, Gela, Nisce­mi e Riesi». Per i pubblici ministeri partenopei – nella cui indagine è coinvolto pure il responsabile nazio­nale del sindacato gestori sale Bingo – non solo c’è il collegamento tra le organizzazioni malavitose di Campa­nia e Sicilia, ma «non vanno trascu­rati, sia pure a livello sintomatico, i rapporti tra Renato Grasso e la ‘n­drangheta calabrese, che echeggia­no in più di una dichiarazione dei collaboratori di giustizia, o con la cri­minalità pugliese».

L’infiltrazione del settore dei gio­chi, però, non è un’esclusiva delle varie mafie. Sempre in Sicilia, a Ter­mini Imerese, nel dicembre scorso è stata smantellata una banda guidata da un pregiudicato «comune», che gestiva illecitamente «scommesse su giochi e premi gestiti dal Coni, nonché puntate clandestine sul lot­to ». Le puntate – anche di somme inferiori a quelle consentite, e con vincite più alte – venivano accumu­late in alcuni bar e attraverso un’ap­posita rete di raccolta «porta a por­ta », sistema che garantiva un guada­gno di circa 20.000 euro a settimana. Un mese prima, in provincia di Trapani, era stato scoperto un altro gruppo che distribuiva slot machine alterate in modo da eludere i control­li telematici imposti dai Monopoli di Stato. Oltre al sequestro delle «mac­chinette » truccate, sono state seque­strate sei società che gestivano l’atti­vità anche oltre la Sicilia, per un valo­re di circa 5 milioni di euro. A set­tembre altre due persone erano state arrestate perché svolgevano la stes­sa attività, ma all’altro capo d’Italia, Bolzano. L’accusa: «truffa aggravata ai danni dello Stato, frode informati­ca e alterazione dei dati informati­ci », e dal capoluogo trentino l’inchie­sta s’è già estesa a locali e personag­gi di Roma. A volte le indagini incrociano più settori, com’è successo in Toscana quando partendo dalle scommesse clandestine nelle corse di cavalli s’è arrivati ad ipotizzare la «violazione della normativa in materia di do­ping e maltrattamento di animali»; a fine 2008 tra Firenze e Pisa sono sta­te perquisite 24 persone indagate per quei reati, mentre a Livorno al­tre 61 sono state denunciate per la sospetta gestione abusiva di scom­messe su vari eventi sportivi.


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