PALERMO – A casa di Tommaso Inzerillo, in via Mogadiscio, c’era un viavai di persone. Una processione per chiedere l’aiuto del capomafia di Passo di Rigano. Un suo intervento diventava risolutivo in piccoli e grandi questioni. Ecco il male oscuro di Palermo: la richiesta di aiuto al potente di turno. Le vie mafiose sono più veloci e risolutive di quelli legali.
Un anziano settantenne, Michele, “bassino e con i baffi”, l’anno scorso si è rivolto al capomafia perché la figlia si era separata dal marito e il consuocero pretendeva 30 mila euro. Tanto era costata la ristrutturazione della casa coniugale pagata dallo sposo. Così Inzerillo riferiva le parole che gli erano state rivolte: “Masino, di qua, di là, di questo verso… dice: ‘mia figlia era sposata, e si è lasciata… adesso è venuto il suocero, da mia figlia, che gli ha speso nella casa trentamila euro, di qua e di là, vuole i soldi indietro, di qua e di là… un macello, ma sai chi sono questi… e viene gente, senti questa… per non portarla a lungo e raccontare tutte cose’… con quindicimila euro, hai capito?”.
I soldi tardarono ad arrivare e Michele fu convocato da Alessandro Mannino: “Michele, com’è finita? Mi stai facendo fare brutta figura”. Michele prese un nuovo impegno: “… io, l’altro giorno, mi volevo fare un mutuo, io mi impegno gli occhi, io entro giorno dieci gli do i soldi, intanto gli do trecento euro al mese”.
La sera del 10 luglio 2018, a casa di Inzerillo arrivarono la moglie e la figlia di Calogero Mannino, che alcuni mesi dopo, a novembre, sarebbe stato scarcerato dopo avere finito di scontare una condanna a 16 anni per mafia. Mannino è stato organico alla famiglia mafiosa dell’Uditore e durante la detenzione di Tommaso Inzerillo si era preso cura delle necessità economiche dei familiari del boss. Perché la mamma di Mannino si rivolgeva a Masino? Aveva affittato un locale in via Castellana, ma l’inquilino non era ancora riuscito ad avviare una rivendita di caffè perché stoppato da gente di peso a Passo di Rigano. La donna, Giuseppa Spatola, aveva un piglio deciso al cospetto di Inzerillo: “Ooh, Vedi che mio marito si sta facendo dodici anni. Ora perché garantire le altre persone che mio marito è là dentro… non sono una qualsiasi, mio marito è da dodici anni che è là e la gente la conosco… poi, poi, quando esce mio marito, chiariamo tutto… dice, che c’è u spizzieddu che deve aprire, poi, quando sarà, lo deve aprire lui, quando sarà, eh, è questo ti sembra una cosa esatta che ancora gli devono dare l’agibilità, affaccia il sole e affaccia per tutti, tu per esempio: non li vendete le cialde voialtri, è quello non è tuo cognato?”.
Un anno prima, nel 2017, le cimici piazzate dai poliziotti della squadra mobile svelarono le vicende legate al lido Sopravento di Isola delle Femmine. Qualcuno era andato a chiedere il pizzo ai nuovi gestori: Pietro e Vincenzo Inzerillo, Rosario e Vincent Mannino. Sono tutti nipoti di Tommaso Inzerillo. “Raccontami di preciso…”, zio Tommaso chiedeva notizie al nipote che scendeva nei dettagli: “… è venuto a salutarmi, ci sono persone, gli devo dire una… gli ho detto… veda che io sono suo nipote… voialtri lo dovete sapere dove lo dovete cercare”. Lo zio gli dava indicazioni: “Tranquillo se dovesse venire gli dici: in questi giorni ti vengono a cercare, l’ho fatto sapere, non gli dare ne spiegazioni ne nulla, mi spiego? O no? Dico: sei capace?”.
Alla fine pagarono il pizzo? In un successivo incontro Tommaso Inzerillo spiegava a Vincenzo di avere parlato con i due esattori del racket: la richiesta di cinquemila euro sarebbe stata legittimata solo dall’eventuale acquisto del lido balneare. La sola gestione non giustificava il pagamento. È stato Giuseppe Spatola, intercettato, a spiegare che il suocero Tommaso Inzerillo aveva risolto il problema: “Avantieri gli ho fatto sbrigare una cosa, c’erano venuti a bussare, capito. Gli smontavano tutte cose, hai capito?”.
Alla porta di casa Inzerillo bussò anche un medico, Attilio Granà. La sua segretaria era stata allontanata dopo ventiquattro anni di servizio in nero e aveva deciso di avviare una vertenza di lavoro: chiedeva 197 mila euro, il medico riteneva che gliene spettassero seimila, ma era pronto a sborsarne quindici mila. Di fronte al rifiuto della donna il medico chiese aiuto a Tommaso Inzerillo: “… perché, su questa cosa dobbiamo essere uomini – diceva mentre lo visitava a domicilio – lei è venuta per ventiquattro anni, non l’ho mai assunta io, lei lavorava in nero, per i fatti suoi, anche con mio fratello ha fatto un anno in nero… ventiquattro anni di stipendi, io gli davo duecento cinquanta… lì veniva per le, le mance… duecentocinquanta euro, come, sempre, come se glieli davo ventiquattro anni fa, ventiquattro anni per duecentocinquanta, fa seimila euro… vado a casa sua e gli ho detto che avevo i soldi, mi dice: no, ora faccio il conteggio e poi ti faccio sapere, minchia. Mi ha fatto arrivare la lettera dell’avvocato…malissimo, allora, all’avvocato gli ho detto: me lo specifica, dove sono arrivate queste centonovantasettemila euro, un part-time, sedici ora settimanali, tre ore e mezza al giorno, otto e trenta, dodici”.
Inzerillo commentava: “… male si è comportata… mai al mondo, si deve andare…a posto, ora vediamo cosa possiamo…”. Il medico lo incalzava: “… io rispetto di più a te che tanti professori che si sentono e sono uno più fango dell’altro, con tutta la laurea che hanno… ti devi interessare in prima persona perché qua il coraggio di dirti no non ce l’ha… fammi questo regalo di Natale… gliene dovevo dare sei, te ne offro quindici più del doppio e ancora mi rompi, porco giuda… e chi si è licenziato, il presidente della Regione Sicilia…”.