PALERMO – Giovanni Musso aveva aspettato il suo turno. Nel blitz del 2018 la squadra mobile ricostruì la sua scalata al potere nel mandamento della Noce. Un potere esercitato anche imponendo ad un sacerdote di ‘benedire’ una festa di quartiere organizzata solo per fare soldi. Musso è stato condannato a 15 anni. Il suo nome fa parte dell’elenco degli imputati per i quali il giudice per l’udienza preliminare Cristina Lo Bue ha emesso la sentenza in abbreviato. Ha retto l’impianto accusatorio dei procuratori aggiunti Salvatore De Luca e Annamaria Picozzi, e dei sostituti Roberto Tartaglia (oggi alla Commissione antimafia) e Amelia Luise.
Dopo avere affiancato il vecchio reggente Giuseppe Castelluccio, Musso sarebbe diventato il nuovo capomafia. C’era pure lui, anche se con un ruolo marginale, nel commando che nel 1995 mise a segno la rapina miliardaria alle poste di via Roma. Nel 2012, dopo avere finito di scontare la pena, sarebbe diventato il braccio destro di Castelluccio, seppure fosse più anziano. Solo che pure Castelluccio, il falegname divenuto boss, finì nei guai giudiziari e così dal 2014 Musso avrebbe preso le redini del clan.
La sua base operativa era un’agenzia di scommesse in via Girolamo Brand. Fu il primo segnale del suo ingresso a pieno titolo nel quartiere, conciso con il trasferimento della sua residenza da Cruillas in piazza Noce.
L’alter ego di Musso sarebbe stato Giovanni Di Noto, condannato a 14 anni. Altra figura di spicco sarebbe quella di Massimo Maria Bottino (12 anni), pure lui esperto rapinatore e consuocero di Castelluccio. Anche Salvatore Pecoraro (12 anni) con un passato da rapinatore avrebbe fatto il salto di qualità finendo a gestire la cassa delle estorsioni.
I contatti con Musso erano spesso mediati da un giovane incensurato e dipendente dell’agenzia di scommesse. Ad un certo punto, però, fu giudicato inaffidabile. Gli sarebbe subentrato Nicolò Pecoraro (11 anni e due mesi), figlio di Salvatore. Di lui Musso si sarebbe servito per intestargli l’agenzia di scommesse e un panificio. Infine c’erano gli uomini del lavoro sporco: Fabio La Vattiata (11 anni), Salvatore Maddalena (11 anni e due mesi) e Cristian Di Bella (10 anni e 10 mesi). Tutta gente con precedenti per rapina. Completano l’elenco dei condannati Francesco Alioto (2 anni per intestazione fittizia) e Giulio Vassallo (3 anni e 4 mesi per estorsione).
Ci sono due assolti: Calogero Cusimano (imputato di estorsione era difeso dall’avvocato Nico Riccobene) e Andressa Cardella Dos Santos (era imputata per intestazione di beni, difesa dall’avocato Tommaso De Lisi).
Il giorno della consacrazione pubblica del nuovo vertice mafioso arrivò una sera di settembre 2014. Al civico 2G di piazza Noce Musso e Bottino si godevano lo spettacolo delle canzoni neomelodiche napoletane affacciati al balcone del terzo piano. La presentatrice sul palco salutava “l’amico mio Giovanni”, “Giovanni del terzo piano”.
Fu l’ex parroco della chiesa del Sacro Cuore, Giuseppe Benvenuto (che ricostruì l’episodio agli investigatori), a firmare il documento con cui incaricava una ditta per installare le luminarie. Era necessario per ottenere il via libera dagli organismi di pubblica sicurezza. Con la chiesa per committente diventava tutto più facile. Le strade si riempirono di poliziotti della squadra mobile che monitorarono la festa.
Persino gli ambulanti abusivi erano stati costretti a versare una parte considerevole degli incassi. Alla regola del pizzo non si sfuggiva. Il titolare di un “compro oro” decise di ribellarsi e oggi è una delle parti offese, seguita nel suo percorso di riscatto dalla Federazione antiracket e dagli avvocati Ugo Forello e Valerio D’Antoni. Addiopizzo, con l’assistenza dell’avvocato Salvatore Caradonna, segue altri imprenditori che hanno denunciato gli esattori del racket.
Gli inquirenti collegano il suo “no al pizzo” alla rapina subita nella notte tra il 12 ed il 13 settembre 2014. Fu più di una rapina, in realtà. Il negoziante e la moglie furono bloccati all’arrivo a casa da due uomini incappucciati e armati. Li costrinsero ad aprire la cassaforte dove c’erano cinque mila euro in contanti, un Rolex da 27 mila euro e altri oggetti d’oro. Dopo avere razziato il bottino marito e moglie furono trascinati all’esterno, fatti sedere, imbavagliati e costretti ad assistere all’incendio che distruggeva la loro villa. “… ed ora vediamo se ti scanti…”, urlavano i rapinatori. Gli autori della rapina non sono mai stati individuati.