Il reato di concorso esterno | in associazione di nozze e cene - Live Sicilia

Il reato di concorso esterno | in associazione di nozze e cene

Non solo Montante, anche Alfano, anche il ministro Poletti. Basta una foto al banchetto di nozze, o a cena, per dare il via al mascariamento, a prescindere dalle accuse e dagli eventuali risvolti penali dei fatti. E solo uno, fra tanti, è riuscito a farla franca. (nella foto il ministro Giuliano Poletti, nello scatto 'compromettente').

Montante e gli altri
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C’è sempre una foto, un pezzo di carta, un’indiscrezione a mettere insieme mascariamento e antimafia, tra veleni e sospetti. C’è sempre una divinità capricciosa a governare, con i tempi che ritiene opportuni, l’indice di gradimento della legalità, decidendo chi va su e chi precipita giù.
Lo strumento dei suoi imperscrutabili disegni può essere, per esempio, uno scatto, più o meno ‘mascariante’, colto dall’album di un banchetto nuziale. Il protagonista viene ritratto a sorpresa, magari ha bevuto, forse ha mangiato troppo. All’improvviso, dal tavolo di fianco, sorge un profilo meritevole di attenzione. Chi è? Nessuno ancora lo sa mentre scocca il flash. Ma il treno è già partito. Un interessato archivista catalogherà e conserverà. Un accorto mediatore metterà in circolo la merce. Un magistrato, sicuramente in buonafede, apporrà il primo timbro della giustizia.

Alla fine dei giri – quando finalmente la notizia sarà diventata di dominio universale – si scoprirà che il personaggio immortalato accanto allo sposo è un mafioso, il figlio di un mafioso, uno che aveva il nonno campiere. Ecco perfettamente configurato, nel codice dei mascariamenti da antimafia, il concorso esterno in associazione di cene e nozze. Nessuno sfugge: né Angelino Alfano, invitato al matrimonio della figlia del boss di Palma di Montechiaro, con annesso bacio al papà; né il ministro Giuliano Poletti ‘paparazzato’ con personaggi successivamente coinvolti in ‘Mafia capitale’. La libagione privata con certi soggetti  – a prescindere dall’insussistenza di risvolti penali e dalla specificità di vicende che nulla hanno in comune – si smorfia subito in quell’accusa tremenda.

Sono cosa recente le accuse smorfiate mediaticamente nelle inchieste “blindatissime” – tanto blindate da essere finite su tutti i giornali – che riguardano il presidente degli imprenditori siciliani, Antonello Montante. Saranno valutate con scrupolo nelle sedi opportune. Intanto, nel papello, spicca un addebito impolverato come una vecchia foto, nuovamente tirata a lucido, affinché risulti ben visibile. Il profilo noto, stavolta, è quello di Vincenzo Arnone, figlio di Paolino che nel 1992 si suicidò in carcere dove era recluso perché coinvolto in un blitz antimafia.
Arnone fu compare di nozze di un giovanissimo Montante. Sono state rintracciate alcune fotografie che li mostrano assieme a metà degli anni Ottanta. Bollo nuziale e pose conviviali hanno trovato sfogo.

E fu così che Antonello – da paladino della legalità che era – si ritrovò ristretto nel ruolo scomodo del cane in chiesa, messo in mezzo da una mini-coalizione antimafiosa che chiede la sua testa. Le manifestazioni di solidarietà per il presidente di Confindustria Sicilia non sono mancate, tuttavia hanno sortito l’effetto di un sassolino scagliato nell’oceano.

Sarà, d’ora in poi, la suggestione posta sotto gli sguardi dell’opinione pubblica – a dispetto di sentenze che non ci sono e di indagini di cui si sa pochissimo – a menare le danze del mascariamento. Montante, infatti, è stato già condannato, dal tribunale della piazza e della ghigliottina, per concorso esterno in associazione di cene e di nozze. Una colpa da cui non si sfugge, specialmente in Sicilia.
Solo un certo Gesù riuscì a evitare pericolosi coinvolgimenti, dopo il buffet della cerimonia di Cana che arricchì personalmente con la trasformazione dell’acqua in vino. Però non risulta che ci fossero paparazzi. E ancora non esisteva questa antimafia dei sospetti e dei veleni.


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