Il ricordo di una persona perbene: Renato Caponnetto ucciso dal boss mafioso

Il ricordo di una persona perbene: Renato Caponnetto, ucciso da un boss

Otto anni fa si perdevano le tracce dell'imprenditore fatto fuori da Navarria e altri tre sicari

PATERNO’. Quella della fine, tragica e cruenta, dell’imprenditore paternese Renato Caponnetto è una di quelle storie alle quali fatichi a credere. Una di quelle che, una volta appresa, non ti dai pace se riferita alla crudeltà del genere umano: alla ferocia di vigliacchi senza scrupoli che, evidentemente, non hanno mai saputo dare valore alla vita.
Quella di domani è una data che preferiamo non passi inosservata. L’8 aprile del 2015 è la data dalla quale non si avranno più notizie di Renato Caponnetto. O, meglio, è il giorno in cui vengono perdute le sue tracce inghiottito da una sentenza di morte che il boss mafioso Aldo Carmelo Navarria aveva decretato nei suoi confronti.
Renato Caponnetto è stato un uomo dall’animo gentile e dalle grandi capacità professionali. Una brava persona incappata nella malvagità di coloro che, con lui, non avevano nulla a che spartire.
Furono le rivelazioni del pentito Francesco Carmeci che consentirono di ricostruire le ultime ore di vita dell’imprenditore agrumicolo.

Il racconto del giudice Ardita

Quello che accadde a Renato Caponnetto, fatto fuori contemporaneamente da tre sicari, lo racconta con una narrazione impietosa e reale, il magistrato Sebastiano Ardita nel suo ultimo scritto “Al di sopra della legge”:
Lo presero dalle braccia costringendolo a sedersi su di un poggiolo di pietra lavica posto all’interno della casa e lo tenevano fermo. Navarria gli diede tante di quelle percosse che le guance sanguinavano le gli occhi erano gonfi. Renato gridava. L’altro aveva le mani piene del sangue di Renato e andò a sciacquarsele; mentre si lavava Renato ripeteva che lo poteva anche ammazzare ma lui non lo aveva tradito…gli avevano legato le mani dietro la schiena con un filo della luce. Navarria ordinò di spogliarlo dei vestiti, per cui rimase con calze e mutande. Dopo lo fece mettere terra in ginocchio. Prese un filo della luce e glielo legò al collo facendogli due giri; iniziò a stringere, ma Renato era intontito e nemmeno gridava aiuto o reagiva. Dopo un pò vide che ancora non moriva…Cadde a terra. Mentre era a terra andò a prendere una subbia da muratore, uno scalpello d’acciaio appuntito, e glielo mise tra il collo e il filo, cominciando a girare per stringere il nodo al collo“.
Una narrazione cruenta che si completa con il corpo del povero Renato arso in aperta campagna sotto il peso di decine di copertoni.

Il ricordo di Renato e l’impegno della famiglia

Otto anni domani da quel maledetto 8 aprile. Oggi i familiari di Renato, con in testa la sorella Maddalena associata all’associazione anti-racket Libera Impresa del presidente Rosario Cunsolo, conducono una battaglia a tutto campo per l’affermazione dei valori della legalità. Non si tratta di una frase fatta: bensì di un impegno quotidiano condotto a fianco di chi rischia di finire tra le grinfie della malavita.
Nel nome di Renato che non c’è più da otto lunghi anni.


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