“Ho fiducia nella giustizia. So che, alla fine di tutta questa brutta vicenda, trionferà. Io, però, nel frattempo, non mi dimetto: resto, nell’interesse della cittadinanza”: lo dice il sindaco di Licata Angelo Graci, dalla sua casa al mare di San Leone, ad Agrigento, dove si trova “esiliato” dal 30 novembre scorso, da quando cioé il gip gli ha revocato gli arresti domiciliari e imposto il divieto di dimora a Licata. Graci era stato arrestato una settimana prima assieme all’assessore ai servizi sociali Tiziana Zirafi, al presidente del Consiglio Nicolò Riccobene e all’imprenditore di Gela Carmelo Napolitano: secondo l’accusa avrebbero intascato una tangente di seimila euro per organizzare uno spettacolo musicale per la festa patronale di Sant’Angelo. Il tribunale del Riesame di Agrigento ha già rigettato la richiesta di revoca del divieto di dimora nei confronti di Graci. Il sindaco di Licata, subito dopo l’arresto, era stato sospeso dal prefetto Umberto Postiglione che, al momento della scarcerazione, ha revocato il decreto, permettendo ad Angelo Graci di tornare ad amministrare. Ogni giorno dal Comune di Licata, alcuni impiegati si spostano alla volta di San Leone dove il sindaco esamina le pratiche e firma gli atti necessari. Il pubblico viene invece ricevuto, quotidianamente, dal vice sindaco. Una situazione paradossale con ripercussioni anche in consiglio comunale: il 22 dicembre scorso 25 consiglieri su 30 si sono dimessi per protesta. Il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, pochi giorni dopo ha nominato il commissario straordinario Giuseppe Terranova che si è insediato all’inizio dell’anno.
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