Prima Giorgia, adesso Loris. Una scia, rossa di sangue e violenza, segna il nostro viaggio quotidiano attraverso gli orrori della cronaca, attraversa Palermo e Santa Croce Camerina per giungere fino alle nostre case. Dal buco della serratura mediatica ci scopriamo curiosi, morbosamente interessati alla vita degli altri in un caleidoscopio di volti e luoghi ormai familiari in quello che è ormai un pellegrinaggio rituale nei luoghi dell’orrore. Ci scopriamo bisognosi di essere partecipi, e non solo spettatori, di queste tragedie, di stringerci al dolore delle vittime nell’illusione di renderlo più sopportabile.
E’ un fenomeno recente, sapientemente alimentato da quello che, in modo forse troppo semplicistico, viene definito giornalismo-spazzatura: un sistema astuto nell’individuare i bisogni più istintivi, viscerali per poi saziarli offrendo i dettagli più sordidi, i particolari più macabri a chi sembra incapace di resistere alla tentazione di svelare misteri, individuarne i responsabili, come in un gioco di società. Al voyerismo di massa che agita le coscienze di chi è attratto da emozioni forti a basso costo si affianca, però, l’insopprimibile bisogno di partecipare alla vita altrui per dare un senso alla propria e tanto più popolare è la tragedia nella sua atrocità. tanto più si presta a dare risalto al nostro lato migliore.
Come in un gioco di specchi mostriamo feroce indignazione per il carnefice per evidenziare la nostra virtù; esprimiamo compassione verso le vittime per mettere in rilievo la nostra pietas, fino alla sempre più diffusa tendenza di individuare il nome del mostro e le trame più sordide a riprova della nostra arguzia. Ma c’è anche un elemento nuovo: la paura. Il suo tocco gelido ci fa sentire esposti, indifesi, ma soprattutto incapaci nel fronteggiare un’emergenza cui non eravamo preparati: la consapevolezza che tutto questo orrore, questa violenza, sono più vicini di quel che potessimo immaginare.
Fin da piccoli, l’istinto ci portava ad individuare e chiamare per nome ciò che ci faceva paura. Non vi era nulla che potesse atterrirci maggiormente del buio, dell’impossibilità di difendersi da ciò che non poteva essere visto, da ciò che era ignoto, invisibile, e non poteva essere combattuto né sfuggito. Sentivamo la necessità di individuare i tratti caratteristici del mostro, di segnarne le differenze per affermarne la lontananza, ma soprattutto l’estraneità rispetto a tutto ciò che per noi era familiare e fonte di protezione. Dal solido recinto di una tranquilla quotidianità a lungo abbiamo assistito a tragedie che, come una nuvola passeggera, attraversavano le nostre esistenze per poi sfumare via, come ombre dai contorni vaghi, indistinti.
Con il distacco che derivava dal sentirsi protetti da un intreccio di rapporti e di affetti in cui non vi era spazio per il tradimento, non eravamo costretti a guardarci alle spalle con sospetto fino a provare paura verso coloro con i quali avevamo deciso di condividere la nostra vita: amici, compagni, figli, genitori. Eravamo certi di poter individuare un archetipo di violento e di tracciarne un profilo; di individuarne ragioni e moventi, fino a sondarne le passioni più intime così da poterlo tenere lontano dall’uscio della nostra esistenza. Attribuivamo con certezza una causa a tutta quella violenza: la delinquenza, l’estremismo politico, l’odio razziale o religioso, il fanatismo delle curve, l’ignoranza ed il degrado, attraverso una fenomenologia semplice da individuare, da classificare per renderla estranea alla nostra esistenza e permetterci il dovuto distacco dagli orrori della cronaca.
Adesso non riusciamo a trovare una spiegazione a tutta questa brutale violenza che imperversa inafferrabile nella nostra quotidianità nascondendosi tra le pieghe dei nostri rapporti, dei nostri affetti. Non c’è spazio che possa definirsi sicuro, immune da questa contaminazione, da questo contagio virale inarrestabile, ma soprattutto imprevedibile, rende impossibile sentirsi al sicuro, al riparo dalla paura di ciò che appare “normale”. Adesso siamo costretti a guardare in faccia questo abisso, a provare paura per ciò che potremmo scorgervi, per le rivelazioni che esso potrebbe offrirci, non riusciamo a rimanervi distanti, irresistibilmente attratti dal magnetismo che esercita su di noi ciò che più fa paura.