Impresa, il cambio generazionale |“I giovani sono un valore aggiunto” - Live Sicilia

Impresa, il cambio generazionale |“I giovani sono un valore aggiunto”

E' alta l’età media degli imprenditori catanesi. Questo uno dei dati che emerge dal dibattito promosso dall’Università etnea, da Confindustria Catania, dal Centro Studi “Family Business”, in collaborazione con il Credito siciliano.

CATANIA – “Il cambio generazionale nelle imprese familiari”. Un passaggio decisivo da governare e affrontare con un approccio di tipo “interdisciplinare” come ha detto il rettore Giacomo Pignataro introducendo il convegno organizzato dall’Università di Catania, da Confindustria Catania, dal Centro Studi “Family Business”, in collaborazione con il Credito siciliano. Metodo questo alla base del focus di discussione che ha visto protagonisti professori universitari e imprenditori che hanno sviscerato le varie sfaccettature del “Family Business”. “Il termine indica in senso stretto l’impresa i cui proprietari siano i componenti di una famiglia, per esempio una società di capitali con soci appartenenti alla stessa famiglia, ma anche la family farm cioè la ditta individuale in cui l’imprenditore è il capo famiglia e i parenti partecipano alla vita aziendale”, spiega il professore Rosario Faraci, presidente del Centro Studi e ordinario di Economia e gestione delle imprese all’Università di Catania. Si tratta di realtà ben presenti su tutto il territorio nazionale e locale. In questo quadro si inscrive il problema, o meglio la risorsa, del passaggio di testimone.

“I giovani sono un valore aggiunto”, dice Antonello Biriaco, vice presidente vicario di Confindustria Catania, nella sua relazione introduttiva. “Il passaggio generazionale è un momento molto delicato per un’azienda” e deve necessariamente basarsi sul “merito”. Il valore aggiunto, apportato dalle nuove generazioni, lo illustra Faraci: “Il giovane è mediamente più istruito del fondatore, ha viaggiato di più ed è più aperto alle nuove tecnologie, determinanti nei settori più colpiti dalla crisi (edilizia e agricoltura”. Serve un progetto complessivo, ma soprattutto molto coraggio in un contesto immobile. Tutte dinamiche ben evidenziate da una breve pièce improvvisata da studenti di Economia, coordinati dalla prof.ssa Giorgia D’Allura e dal regista Antonio Caruso, e dal professore Faraci. Una performance basata sul modello “del teatro d’impresa”, disciplina ormai organica ai corsi di studio della facoltà etnea di Economia, che racconta uno spaccato di vita familiare: un padre imprenditore, indebitato con le banche, tenta di spiegare la situazione ai suoi congiunti senza grande successo.

Il perché è presto detto. “La famiglia rimane ancorata alle proprie posizioni, questo è il problema: tutti per paura non cambiano”, spiega Caruso. Il regista parte dalla tradizione del teatro d’impresa, nato in origine per fare giocare gli impiegati all’interno di un’azienda, con un approdo diverso e originale: “Recuperare e riconoscere le mille anime che popolano ognuno di noi”. Un mezzo per prevenire i conflitti attraverso l’immedesimazione. Del resto uno degli aspetti scandagliati durante il convegno verte proprio sull’ambito emozionale. Orazio Licciardello, professore di Psicologia Sociale all’Università di Catania, indica una serie di aspetti, come la necessità di passare dal modello del capo autoritario al leader in grado di ascoltare e coinvolgere, indispensabili per comprendere i fenomeni psicologici che stanno alla base delle difficoltà di gestione del passaggio di testimone ai vertici delle imprese tra padri e figli. L’approccio trasversale al tema non può non contemplare l’ambito giuridico come ha ricordato il professore Vincenzo Di Cataldo, ordinario di diritto commerciale all’Università di Catania, sottolineando l’assenza di istituti giuridici da utilizzare nel cambio generazionale in azienda (“un processo da guidare”).

La vignetta del Convegno

Gli strumenti del diritto possono fornire indicazioni decisive. Una forma come la società a responsabilità limitata ad esempio dà maggiori vantaggi, i termini di suddivisione tra vari eredi, rispetto alla formula dell’impresa individuale. La centralità del sapere è stata evidenziata anche dal professore Giuseppe di Taranto della Luiss che ha sottolineato il peso del “contesto economico” di riferimento sul destino delle imprese familiari italiane “quelle che hanno retto meglio la crisi”: “la crescita zero, fenomeni sociali e demografici”, ma soprattutto “scelte europee” che penalizzano alcuni paesi (come l’Italia) favorendone altri (la Germania).

“Una cultura di tipo finanziario è indispensabile, il ricambio generazionale può fare da volano alla trasformazione del rapporto tra imprese e banche che deve diventare maturo”, aggiunge il direttore generale Credito siciliano, Saverio Continella. C’è poi il dato regionale che assume una forte valenza. Le testimonianze positive di due imprenditori, il trentenne Giuseppe Manuele e il senior Francesco Tornatore indicano due strade vincenti di passaggio di testimone. “La Sicilia sta attraversando il passaggio fra la prima e la seconda generazione, occorre contestualizzare questa transizione con un obiettivo: il mantenimento del sistema produttivo nel rispetto della eticità e della legalità, avendo una visione completa che coniughi i diritti di tutti e gli interessi collettivi da tutelare”, sottolinea l’economista Antonio Pogliese. “Il family business è una specie da difendere, un valore, soprattutto qui in Sicilia: la delega, la fiducia, l’impegno, la passione e il potere richiedono una lettura particolare, soprattutto in un momento come questo in cui la sostenibilità intergenerazionale è fattore che spinge l’economia e la crescita”, gli fa eco la professoressa Elita Schillaci, presidente Fondazione Svpf.

Il professore Rosario Faraci analizza i dati catanesi. “Nella provincia di Catania troviamo 62000 titolari d’impresa, cioè imprenditori a capo di ditte individuali, e 51000 amministratori, quindi imprenditori a capo di società di persone o capitali”. “Gli over settanta, che rappresentano il 10% del totale, si presume che abbiano fatto il passaggio generazionale o lo faranno presto perché non possiamo immaginare una longevità sine die”, spiega Faraci. “La percentuale si alza considerevolmente se andiamo a vedere gli imprenditori di età compresa tra i 50 e i 69 anni che magari oggi non si pongono il problema generazionale”. Sbagliando. “Parliamo di 21000 titolari e 20000 amministratori, una popolazione di oltre 40000 persone fisica a capo delle aziende che il problema se lo devono porre perché la next generation rischia di entrare in campo alla guida delle aziende quando avrà superato il cinquantesimo anno di età”. Il professore, dati alla mano, retoricamente si chiede: “Con quanto entusiasmo si può abbracciare la vita di un’azienda prendendo le redini a cinquant’anni?”


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