PALERMO – Un barone. Su questo epiteto, molti accademici non hanno alcun dubbio. Andrea Parlato è senza dubbio un barone. Ma anche un docente stimato, tra i migliori tributaristi italiani, capace di ‘creare’ una vera e propria scuola.
Ne parla in questi termini qualche suo ex allievo che preferisce l’anonimato. Il riflesso, forse, di una delle qualità che tanti riconoscono a quel docente finito nel registro degli indagati nell’inchiesta partita da Firenze e che sta mettendo sottosopra il mondo dell’Università. Riservato, riservatissimo. Poco incline ai riflettori. Tanto “schivo” da commuoversi quasi, pochi anni fa, quando l’Università Aldo Moro di Bari gli consegnò il premio “Achille Donato Giannini”, dedicato all’ex preside della Facoltà di Giurisprudenza di quell’Ateneo.
Insegnava anche in Puglia, Parlato, classe 1932. Ma i suoi primi passi nel campo accademico li ha compiuti a Messina, allievo del giurista Salvatore Pugliatti. Poi l’arrivo a Palermo e l’inizio di una carriera lunga e piena di successi. Diventerà presto un “potente”, Andrea Parlato, dentro le aule dell’Ateneo, ma anche grazie al suo studio che accoglieva e sfornava professionisti di alto livello. Tra questi, Salvatore Sammartino, finito anche lui nell’inchiesta fiorentina e interdetto dall’insegnamento universitario. Dalle intercettazioni ecco emergere la forte contrapposizione tra i due. “Che era nota a tutti, nel mondo universitario” commenta un big del diritto siciliano che preferisce restare fuori dalle polemiche. Addirittura, si racconta, era difficile riuscire a organizzare un convegno alla presenza di entrambi: o l’uno o l’altro. Era una regola nota a tanti.
Come nascono i dissapori tra Parlato e Sammartino? Ovviamente, le risposte possono essere tante. Ma c’è un dato, che appare ininfluente, ad aprire uno squarcio. Andrea Parlato, oggi, è un docente “benemerito” dell’Università di Palermo. Benemerito. E non “emerito”, come vorrebbe la tradizione che attribuisce quella carica a chi ha dato tanto e si è distinto all’Università. Il motivo? Sarebbe proprio nell’ostilità di Sammartino, che da “allievo” avrebbe dovuto assumersi l’incarico di proporre, di “spingere” la richiesta di attribuire a Parlato quell’onorificenza. Ma non lo farà.
Sullo sfondo, ovviamente, la “competizione” professionale tra due studi che presto si contenderanno cause delicate e importanti, clienti di primissimo livello. E non solo. A “nutrire” quei dissapori, anche, la vicenda finita nelle carte dell’inchiesta. “L’abilitazione di una candidata di seconda fascia, Maria Concetta Parlato, moglie di Vignarelli, ex commissario e professore ordinario di Tributario a Messina, e figlia del professore Andrea Parlato, anch’egli a Messina – annotano gli investigatori – sconta l’avversità di Salvatore Sammartino che intendeva ottenere l’abilitazione dei suoi candidati Filippo Alessandro Cimino e Daniela Mazzagreco”.
Una nuova puntata della “guerra” dei baroni. Andrea Parlato temeva il peggio e al genero Vignarelli raccontava che il commissario Cipolla era “totalmente dalla parte di Sammartino” e che “erano tutti d’accordo”. E così Parlato contattò al telefono alcuni commissari, mentre altri li incontrò di persona. Il 16 marzo 2015 si trovava nell’ufficio del commissario Adriano Di Pietro in compagnia della figlia Maria Concetta: “Senti io ti dico… per telefono non si può dire, è chiaro no?”. Di Pietro sembrava avere recepito il messaggio. L’abilitazione di Maria Concetta sarebbe stata “scambiata” con quella di un candidato di Sammartino: “Così è il discorso, uno a uno e palla a centro”.
Un dispiacere, questa inchiesta giunta all’età di 85 anni. A oltre un decennio da un’altra amarezza che la storia ha già dispensato a Parlato. Il professore, in passato, fu infatti coinvolto in un caso giudiziario dal quale uscì però del tutto scagionato. E anche in quell’occasione, le ombre sarebbero state legate a una vicenda di presunte “raccomandazioni”. A cavallo tra la fine del vecchio e l’inizio del nuovo secolo, infatti, la procura di Caltanissetta lavorò a una inchiesta relativa alla perizia con la quale tre esperti valutarono il patrimonio immobiliare del Banco di Sicilia che in quegli anni veniva trasformato in spa. A redigere la perizia furono tre esperti, tra cui appunto Andrea Parlato. Secondo l’ex presidente del Banco, Giannino Parravicini, l’allora presidente del tribunale, Antonino Palmeri, avrebbe nominato i tre esperti su suo suggerimento e non rispettando le norme.
Da quella inchiesta, però, Parlato uscirà del tutto pulito. Anzi, negli anni precedenti e successivi il docente ha ricoperto incarichi di grande prestigio anche nel settore pubblico e para-pubblico. Potente e apprezzato, verrà nominato al vertice di Irfis negli anni ‘90, guiderà per anni l’importante centro di formazione Isida, sarà per tanto tempo un legale delle Esattorie siciliane e soprattutto farà parte della sezione giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa, su indicazione di Marzio Tricoli, di cui fu consulente quando il politico di An ricopriva l’incarico di assessore al Bilancio nei governi di Giuseppe Provenzano e Giuseppe Drago. Al Cga Parlato rimarrà fino agli anni della presidenza di Totò Cuffaro. Poi la pensione, giunta pochi anni dopo. Poi quello strano titolo di docente “benemerito”. E l’inchiesta. Che coinvolge tanti “baroni”. Compreso lui. E il suo allievo che divenne rivale.