Intercettato nipote del Malpassotu |L’avvocato: “Pulvirenti è estraneo”

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02 Luglio 2018, 18:58

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CATANIA – Per le armi, gli uomini dell’organizzazione palermitana accusata di traffico di diamanti con i jihadisti e traffico di migranti, si sarebbero rivolti ad alcuni catanesi ritenuti, dal procuratore aggiunto di Palermo Marzia Sabella, e dai sostituti Carlo Marzella, Calogero Ferrara e Giorgia Spiri, di spessore. Come Valentino Pulvirenti, nipote del Malpassotu, che arriva all’appuntamento, immortalato dalle cimici dei carabinieri, a bordo di un Volkswagen Scirocco. Si tratta di un’auto nota alle forze dell’ordine che l’avevano già controllata con a bordo Natale Scalia, “con precedenti penali per rapina” e con Salvatore Zummo, “con precedenti per reati contro il patrimonio”.

Ma è su Valentino Pulvirenti che i carabinieri puntano l’attenzione. Figlio di Orazio Pulvirenti, fratello del noto boss Giuseppe Pulvirenti detto “U Malpassotu”, poi pentito. Valentino Pulvirenti è, quindi, il nipote dello storico boss che spadroneggiava nel cuore della provincia di Catania fino al momento del pentimento. Orazio Pulvirenti, padre di Valentino, “era inserito a pieno titolo nell’organizzazione criminale capeggiata dal fratello”.

Francesco Navarria, avvocato di Valentino Pulvirenti, contattato da LiveSicilia spiega: “Il mio assistito non è nemmeno a conoscenza di essere sottoposto a indagini, non essendo stato raggiunto da nessuno tipo di avviso o comunicazione di garanzia. Dimostreremo presto la sua estraneità”.

Per comprendere chi sia l’altro contatto dei palermitani, gli investigatori analizzano i movimenti di Ibraim Ljatifi detto “Braka”, arrestato con l’accusa di associazione per delinquere e Giuseppe Giangrosso, accusato di aver importato preziosi rubati dai balcani, ritenuti elementi di spicco dell’organizzazione palermitana.

Il 14 dicembre del 2016 Giangrosso chiama un’utenza, e risponde un soggetto che parla con una “chiara inflessione dialettale catanese”. Giangrosso chiede di rivedersi “al posto della scorsa volta”. Lo chiede con urgenza. Dall’altro lato della cornetta c’è Salvatore Montalto, pregiudicato – sottolineano gli inquirenti – per associazione mafiosa, rapina, traffico di stupefacenti e armi. Un passato da sorvegliato speciale, Montalto sarebbe “membro del clan Santangelo” di Adrano.

La Procura di Palermo sostiene che Montalto e Pulvirenti sarebbero “all’interno – si legge negli atti – dell’associazione Cosa nostra della provincia di Catania, che, come noto, ha nei suoi vertici le famiglie Santapaola e Ercolano, cui sia Pulvirenti che Montalto risultano legati”.

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Per essere certi dell’identità di Montalto, i carabinieri acquisiscono il suo cartellino anagrafico e non hanno dubbi: è lui l’uomo che ha incontrato Giangrosso e Ljatifi nell’outlet del Dittaino.

Nel 2017 i contatti tra palermitani e catanesi continuano. A Palermo, in piazza Indipendenza, il 23 settembre del 2017 vengono fotografati Giangrosso, Ljatfi, Salvatore Montalto e altri soggetti.

I carabinieri si appostano durante un altro incontro, all’outlet Dittaino. Uno dei presenti propone di avviare un commercio di auto con la Germania, Giangrosso parla di un affare molto proficuo. Per concretizzare il progetto attendono il ritorno del macedone Ljatifi, che potrebbe “ portare con sé capitali, frutto di affari illeciti eventualmente portati a termine ovvero beni e/o merci in grado di fruttare denaro”.

Ma nell’ordinanza sui trafficanti palermitani non c’è molto. “Dalle modalità dell’incontro – sostengono gli inquirenti – valutate in relazione alle notizie acquisite, si riteneva che il gruppo palermitano aveva contattato i catanesi per reperire delle armi, in precedenza vendute a questi e custodite dai catanesi in località al momento ignota”.

 

 

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02 Luglio 2018, 18:58

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