E’ durato circa 5 ore l’interrogatorio di Rosaria Cristiano, la moglie del boss Giovanni Brusca, poi collaboratore di giustizia, accusata, insieme al marito, ad alcuni familiari e a due imprenditori di San Giuseppe Jato, di avere curato la gestione del patrimonio che l’ex capomafia ha nascosto e sottratto alla confisca.
La donna, sentita a Roma dal procuratore di Palermo Francesco Messineo e dai pm Lia Sava e Roberta Buzzolani, ha giustificato il possesso di 188 mila euro in contanti, trovati durante una perquisizione dei carabinieri che cercano il tesoro di Brusca, sostenendo che si tratta di risparmi accumulati mettendo da parte lo stipendio pagato dal Sevizio Centrale di Protezione e dal reddito ricavato dall’affitto di un magazzino.
Spiegazione simile a quella data ai pm dal marito, interrogato ieri nel carcere di Rebibbia. Su altre accuse contestate a Brusca, in relazione a presunti investimenti e intestazioni fittizie di beni, la donna ha dato spiegazioni decisamente contraddittorie con quelle dell’ex boss. In mattinata i pm della dda avevano interrogato due cognati e un cugino di Brusca indagati nello stesso procedimento.