18 Marzo 2020, 12:01
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Grazia, siciliana dall’animo coraggioso, racconta, in presa diretta, com’è la Lombardia in questi giorni tragici. E lancia un sacrosanto appello: “State a casa, forse in Sicilia non si riesce a immaginare l’inferno che stiamo vivendo qui”. Lei è a Mantova, nella regione finora più colpita dal Coronavirus.
Racconta Grazia: “Stiamo bene al momento, viviamo nel terrore che ci salga la temperatura e tremiamo al minimo colpo di tosse. Tutto bloccato. Tutto surreale. I numeri non sono numeri, sono persone che conosciamo, con le quali abbiamo rapporti di affetto profondi. Ed è allora che la paura diventa sgomento, che il coraggio si trasforma in resa, che la speranza non alberga più nelle nostre vite. Non so come quando e se finirà. Me lo auguro per tutti, specie per i ragazzi che al momento hanno messo in stand by i loro sogni. Non sognare a ventidue anni non è facile. Anzi. È una prova tremenda”.
Il racconto continua: “A Mantova sembra di essere dentro la sceneggiatura di un film. Quando ero bambina, credo intorno al 1978, la RAI trasmise I sopravvissuti, un telefilm a puntate che raccontava di quattro o cinque persone scansate da un’epidemia. Mi ritorna in mente quell’angoscia che provai da bambina e mai, mai, avrei potuto pensare di essere parte del cast. Qui, chi può, non lavora, i supermercati sono deserti e al contrario dei primi giorni poca gente si aggira tra gli scaffali. Chi ha bisogno della spesa, e deve per forza uscire, guarda l’altro essere umano in cagnesco, qui tutti siamo potenziali untori. Questa storia non solo allontana, ma fa venir fuori l’egoismo e l’istinto di sopravvivenza di ognuno. Si vedono solo mezzi della protezione civile girare, si sentono ambulanze a raffica. Amici miei sono in quarantena, ammalati, senza tamponi. E non lo fanno, manco a pagarlo oro. La domanda del medico è sempre la stessa. “Respira? “…. Finché respiri tampone negato. Termometro, tachipirina e macchinino che misura l’ossigeno nel sangue sono i compagni di viaggio di questo esilio”.
E ancora: “Tanti hanno perso un familiare. Era vecchio, si. Ma quel vecchio era il padre, la madre, il fratello di amici miei. Non un funerale, solo una benedizione fugace. Da una parte gli appestati e dall’altra, a distanza, i sani. Sopra tutto e tutti, a vigilare, le forze dell’ordine. In lacrime anche loro per quegli abbracci mandati a distanza, per quei mimi che raccontano dolore al cuore per una carezza che non si può dare. Questo vivo. E vivo le lacrime dei miei figli che alternano momenti di sconforto a senso di responsabilità. Raccontalo pure. Racconta tutto. Svegliatevi, palermitano e siciliani. Svegliatevi. State a casa con la massima osservanza delle regole. Ho amici a Bergamo che se la passano molto peggio di noi. Questo è l’inferno. L’unica speranza che abbiamo è la responsabilità”.
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18 Marzo 2020, 12:01