PALERMO – “Piangersi addosso è solo una perdita di tempo”. Ha l’approccio volitivo e pragmatico di chi deve rappresentare imprese e commercianti. Ma il presidente della Confcommercio Palermo Patrizia Di Dio pesca anche in Dostoevskij per spiegare che la bellezza ci salverà dalla cultura del piagnisteo. Quella inclinazione al lamento che produce indolenza e che Livesicilia sta provando a scandagliare con una serie di interviste.
Presidente, esiste davvero nell’Isola questa cultura del piagnisteo? Questa tendenza tutta sicula a piangersi addosso?
“Esiste eccome. Ma questo non deve ovviamente far passare in secondo piano alcuni limiti che sono evidenti. Come ad esempio il fatto che alcune persone che ricoprono determinati ruoli istituzionali non hanno né capacità tecniche, né l’immaginazione necessaria per coltivare una visione di ampio respiro, l’unica che può far cambiare la Sicilia”
Insomma, anche la politica ci mette molto del suo per consegnare all’opinione pubblica una immagine “perdente” dell’Isola.
“Certamente in questi anni, direi decenni, è mancato un racconto positivo della Sicilia. Eppure, chi viene qui, scopre tante bellezze. E quasi sempre ritorna. Nonostante, direi, quelli che continuano a parlare male della nostra terra”.
Cosa manca o cosa è mancato allora nel racconto di questa Sicilia?
“Ad esempio, non vengono mai messe al centro le imprese. Eppure sono proprio quelle a creare reddito e ricchezza. Tutto il resto, penso ad esempio al tema caldo dei disabili o dei disoccupati, troverebbe una soluzione a monte, grazie alla crescita delle aziende, che si traduce appunto in ricchezza e in maggiori introiti per la pubblica amministrazione. Ma a quel punto…”.
…a quel punto?
“Serve che la politica faccia la sua parte, utilizzando ad esempio i soldi delle tasse per fornire servizi veri e un sano welfare. Le imprese oggi sono tartassate, ma anche per questo sperano che sforzi e sacrifici possano tornare utili per costruire una società più equa e più giusta”.
E invece le tasse che fine fanno?
“Si disperdono tra i rivoli di una struttura amministrativa spesso ridondante e sprecona”.
Presidente, non staremo cadendo anche noi adesso nella cultura del piagnisteo?
“No, è giusto però che queste cose siano chiare. Ma io dico: se siamo capaci di vedere il bello nonostante le cose di cui abbiamo parlato finora, possiamo davvero volare alto. Aveva ragione Dostoevskij: la bellezza salverà il mondo”.
In che senso? Morale, pratico?
“Entrambi. La bellezza ha anche un valore economico. Scegliere di imboccare la via che porta alla nascita di una vera economia della bellezza è il punto di svolta. Il concetto di bellezza, però, non va visto esclusivamente nell’accezione di ricchezza o lusso. Dobbiamo partire dal luogo sul quale ci troviamo. Le ricchezze sulle quali siamo seduti: dal patrimonio paesaggistico e naturale a quello culturale, al made in Italy, all’agroalimentare. Non dobbiamo dimenticare mai una cosa: dalle persone che vivono fuori dall’Italia e fuori dalla Sicilia siamo considerati un modello per il ‘buon vivere’”.
Una economia della bellezza, diceva lei. Ma ne siamo capaci?
“Dobbiamo. Non si può vivere senza pane. Ma non si può vivere nemmeno senza bellezza. E qui di bellezza ce n’è tanta. Ma tutto va declinato in una economia che metta al centro il patrimonio artistico e culturale. Del resto, il 70 per cento di questo patrimonio è in Italia”.
Ha ancora senso, però, nel mondo del “virtuale”, degli acquisti online, dei social network che sembrano soppiantare le regole e i modi della socializzazione “classica”, pensare di sfruttare economicamente le bellezza dei luoghi, i patrimoni dell’arte?
“Le rispondo con un esempio legato al mio ‘mondo’. Molti oggi parlano di crisi del commercio ‘fisico’, facendo riferimento allo sviluppo dell’e-commerce, dell’utilizzo del digitale. Io credo invece che la digitalizzazione debba fornire strumenti che consentano a tutti di raggiungere ogni parte del mondo. Ma pensare di soppiantare il commercio classico, offline, è un errore. E le faccio anche un altro esempio”.
Prego…
“Il turismo. Viaggiare risponde a tante esigenze, anche a quelle di scoprire odori, sapori. Il viaggio, insomma, è una esperienza in sé. Ma si traduce anche nell’acquisto all’interno dei negozi ‘fisici’, nel rapporto con la realtà commerciale del luogo”.
La relazione umana, insomma, da quella non si scappa…
“Assolutamente no. Anzi, l’economia della bellezza farà recuperare il concetto di comunità. Serve un nuovo umanesimo, l’idea insomma che vada messo al centro l’individuo e le sue relazioni. Proprio sul tema delle donne e dell’economia del nuovo umanesimo sto organizzando un grande convegno che si svolgerà a Milano il prossimo 26 maggio”.
Come si concilia questa idea di “nuovo umanesimo” con l’economia, con la crescita della ricchezza?
“Bisogna riqualificare il commercio fondandolo sulla relazione, sul valore della consulenza, del servizio ‘ritagliato’ per l’utente. L’idea è quella di prendersi cura del consumatore. Come fa ad esempio, un negoziante che consiglia al cliente un formaggio che pensa possa essere di suo gradimento, o un indumento che può fare al caso del cliente, provando a soddisfare i suoi gusti personali”.
Bene, la bellezza e le relazioni come motore di tutto. E da tanti anni, se non decenni, in tanti hanno indicato la strada del turismo e delle bellezze artistiche. Lei vede, oggi, segnali nuovi, incoraggianti? La possibilità che tutto questo si possa tradurre finalmente in vera crescita?
“Sì, anche se molti sono arrivati per caso. Penso ad esempio ai gravi fatti di terrorismo che hanno spinto molti turisti a scegliere le nostre città. I numeri delle visite in Sicilia oggi sono indubbiamente molto positivi. Ma adesso bisogna ‘fare sistema’. In qualche caso, penso ad esempio alla valorizzazione del patrimonio Unesco in Sicilia, i risultati sono stati entusiasmanti. Bisogna fare così anche in altri ambiti. Anche perché la Sicilia ha una caratteristica unica”.
Quale?
“Mentre altrove, in Italia, i turisti viaggiano verso Roma, Firenze o Venezia, il nostro ‘brand’ è costituito dalla Sicilia intera. E in questi anni si è persa la grande occasione di raccontarla, a differenza di quanto abbiano fatto altre realtà. Pensi a Sharm el Sheikh: lì non c’è nulla che in Sicilia i turisti non possano trovare. Anzi, nell’Isola c’è tanto, tanto di più. Eppure, lì per anni è arrivata una pioggia di turisti. Perché loro possono e noi no?”.
Già, perché?
“Perché abbiamo perso troppo tempo a lamentarci. È giunto il momento di rimboccarsi le maniche. Di rivolgersi alle imprese. E di iniziare a raccontare la Sicilia in modo nuovo”.