CATANIA – All’ombra del vulcano e delle decine di vigne che hanno contribuito a dare fama alla terra di Sicilia, esiste un mastro birraio messi da parte gli studi odontotecnici ha dato vita ad un birrificio, per l’esattezza il Birrificio del Faro, una realtà artigianale nota in via del Faro, a Catania.
Francesco, avete già festeggiato i primi 10 anni di attività. E pensare che tutto ebbe inizio nella cucina di casa tua. “Già. Utilizzavo pochi strumenti: una pentola, un secchiello con una resistenza di rame che teneva a temperatura la birra e… il frigo, naturalmente, al quale sottraevo gran parte dello spazio destinato alla conservazione degli alimenti ad uso di tutta la famiglia. La prima birra, ricordo, è stata una pils, la classica bionda ma anche la più difficile da produrre. Ci ritrovavamo a tavola e la mia famiglia la gustava con piacere apprezzando le mie capacità”.
Da qui alla creazione del birrificio il passo è stato immediato. O quasi. “Mio padre mi ha spronato, incentivando questa passione. Ero un universitario prossimo a diventare odontotecnico. E invece, fui precursore a Catania della birra artigianale”. Giovanissimo, inizia allora il pellegrinaggio in Gran Bretagna, per poi rientrare in Italia e precisamente a Modena, dove lavorerà all’interno di un birrificio. “Ben presto notai le differenze rispetto a ciò che producevo a casa e presi nota. Ciò che appresi lo misi subito in pratica al mio rientro in Sicilia”.
Birra artigianale, quindi. Molto diversa da quella industriale per la quale è sufficiente una sola settimana di preparazione, non contiene il luppolo e presenta al suo interno anidride carbonica. Tutt’altra storia, invece, per la birra handmade, che arriverà sulla tavola solo dopo circa due mesi, tra macinazione, ammostamento all’aperto, bollitura, stabilizzazione e fermentazione. Senza dimenticare la sua peculiarità, cioè il fatto che contenga il luppolo. Già <quello vero>, come tiene a precisare Francesco.
Quale quantità di birra produci, oggi?
“Sono passato dai 25 litri “casalinghi” agli 800, circa 1000 bottiglie da 750 ml”.
Rientrato nella tua città come ti sei mosso?
“Ho acquistato un impianto usato, attraverso il finanziamento di Sviluppo Italia. All’inizio producevo un solo tipo di birra, quella ambrata dal sapore corposo, consigliata durante i pasti. Poi ho realizzato la ricetta per una birra bionda dolce che si consuma più facilmente in estate. Una ricerca di mercato condotta mi ha permesso di capire che la birra ad alta fermentazione, quella cioè fermentata a temperature più alte era preferibile. E ciò perché quando si imbottiglia si mantiene la temperatura dei 16 gradi grazie alla quale i lieviti sono fermi. In questo modo, se la bottiglia sarà toccata dai raggi solari comunque la fermentazione non può ripartire e non si corre il rischio che scoppi o risulti troppo frizzante”.
Quanto costa al pubblico durante i pasti al ristorante?
“Intorno a 10/12 euro”.
Uno scarto rispetto a quella industriale molto ben giustificato, però.
“Intanto non è presente anidride carbonica, trattandosi di fermentazione naturale e quindi nessun gonfiore allo stomaco. Si beve a temperature più alte, quasi 8/10 gradi e, aspetto molto importante, contiene il luppolo, un antiossidante che fa bene al cuore, scioglie l’acido lattico e non le più note <essenze>”.
Quali sono i passaggi fondamentali del processo di produzione?
“Si svolge in circa due mesi: si parte con la cotta, che dura un giorno. Poi, una settimana per la prima fermentazione in tino. Seguono sbalzi di temperature per bloccare la fermentazione. La birra viene poi travasata nelle bottiglie e ivi rimane per 20 giorni durante i quali acquisterà un sapore frizzantino”.
Quali sono le tue mire imprenditoriali?
“Oggi copriamo alcuni locali ristorativi molto conosciuti a Catania. Ci stiamo posizionando sull’area del messinese (la birra è già presente nel menù del gruppo alberghiero Gais, tra cui gli hotel Caparena e il cinque stelle lusso San Pietro)e quindi l’obiettivo per il 2014 è aumentarne la produzione per coprire l’intera isola”.
La sete di conoscenza, la passione, l’aiuto del web e una conoscenza diretta della birra, unitamente alla dedizione e allo spirito di sacrificio gli hanno permesso di arrivare fin qui. “Finalmente – racconta soddisfatto – si iniziano a raccogliere i primi frutti dopo le difficoltà iniziali dovute alla mancanza in Sicilia di cultura della birra artigianale”. Se in Germania, in Baviera e in generale nel nord europa il binomio birra + cibi da strada è apprezzato e ormai parte integrante della loro tradizione, al sud Italia è in corso una sorta di <alfabetizzazione birraria>. Ma chissà che, in futuro, non si pensi a realizzare manifestazioni che si avvicinino quanto più possibile all’October fest d’Oltralpe, un appuntamento imperdibile per i tanti estimatori della bionda e non solo. Intanto, in centro città il luogo di ritrovo è Topbeer che per la stagione estiva che volge al termine ha aperto i battenti in una location fronte mare e che, lo ricordiamo, nel 2012 organizzò Etna beer, un evento birrario con tantissime etichette in degustazione impegnato anche in una funzione propriamente didattica. Quanto alla visita guidata all’interno del birrificio Moro, invece, tra amidi che si trasformano in zuccheri, luppoli, lieviti naturali e secchi, si giunge alla presentazione del prodotto finale, non uno bensì tre: Fior di Sicilia, Fenicia e l’ultima arrivata Nera riserva.
Quale birra viene preferita?
“La bionda, sicuramente; d’altronde è, tra quelle industriali, quella più conosciuta. Motivi commerciali,quindi mentre io, personalmente, preferisco quella ambrata perché più stabile”.
Amplierete la gamma di birre? Penso, per esempio, a quanti oggi soffrono la malattia della celiachia che impedisce loro di gustare questa bevanda. Cosa bolle in pentola, Francesco? Accenna un sorriso ma non ha il tempo di pronunciarsi perché nel frattempo ci ha raggiunti Giuseppe Di Blasi, dottore agronomo impegnato nella duplice veste di direttore di produzione e responsabile commerciale. “Ci stiamo lavorando – afferma. La gluteen free rientra tra i nostri desiderata ma non posso dire di più!” E chissà che la prossima non sia un’annata ricca. Senza zuccheri, s’intende, ma piena di novità.