Michele Serra su “La Repubblica” del 17 giugno, analizzando la tragedia di Motta Visconti, sferra un attacco frontale alla “retorica della famiglia tradizionale come luogo di sole virtù e soprattutto di sole sicurezze”. Invoca la liberazione delle coscienze dagli orpelli di una tradizione che, a suo avviso, nega la salvezza a coloro che a causa del peso eccessivo delle aspettative che essa impone ai soggetti più fragili impedisce di scorgere la strada che consenta di sfuggire a tutte quelle situazioni che “in un attimo, diventano un reclusorio che alimenta la pazzia dell’uccisore”.
Vi sarebbe, quindi, una patina edulcorata di sicurezza e virtù a caratterizzare la retorica che oggi accompagna l’idea della famiglia tradizionale che – occultando allo sguardo sociale la crudeltà e la violenza di cui sempre più spesso diviene teatro – finisce, quindi, con l’impedire quella che Serra suggestivamente considera la “fuga degli inermi”. Quale logico corollario di questa interpretazione consegue che le sempre più numerose vittime di quello che è un dilagante disagio sociale cadano per mano di un carnefice simbolico, di un conformismo di maniera, di una vacua propaganda che, nell’indifferenza dei più, finisce con l’armare la mano dell’omicida.
Questi, quindi, non sarebbe altro che una vittima dell’illusione di una famiglia tradizionale capace di offrire la forza di superare ogni criticità, salvo cedere inesorabilmente dinanzi alla scoperta che essa rappresenta in fondo solo un pallido simulacro delle virtù e della sicurezza in cui aveva riposto la fiducia per il perseguimento di una appagante felicità, individuale prima ancora che collettiva. Associare al termine retorica la figura della famiglia tradizionale sembra suggerire l’idea di un retaggio culturale superato, non più attuale e quindi inadeguato a cogliere gli aspetti di una società in continuo cambiamento verso la quale appare indispensabile porsi con un rinnovato approccio onde poter intercettare le mutate dinamiche relazionali che all’interno della famiglia vengono articolate.
La famiglia tradizionale, o più precisamente la retorica di virtù e di felicità che secondo Serra la caratterizza in modo così pregnante da divenirne un tratto distintivo, viene ridotta pertanto ad una sorta di gabbia dorata in cui si cresce nell’incapacità di confrontarsi con le inevitabili difficoltà che ogni contesto relazionale inevitabilmente presenta. Banalmente ridotta a parodia di ciò che dovrebbe invece rappresentare. I rilievi proposti lasciano, però, un nodo irrisolto e forse diventano anch’essi un topos: quello di una famiglia diversa, probabilmente diversamente orientata, capace di disarticolare una tradizione culturale fondata su un concetto di famiglia ritenuto superato e potenziale covo di disarmonie dagli esiti patologici ed aberranti non più imprevedibili ma quasi necessari.
Sembrano prospettarsi due forme di aggregazione familiare evidentemente incompatibili, non destinate ad affiancarsi l’una all’altra in ragione delle diverse inclinazioni ma a contrapporsi fino ad annullare la prima nella seconda. Novello Thomas Cromwell, Serra pare sorretto da una spinta riformista che vede nella tradizione, e nella retorica di cui essa viene considerata portatrice, retaggio di un mondo immaginario ed in quanto tale destabilizzante, istituto sociale quasi da commissariare per impedire il proliferare delle irrealizzabili suggestioni di cui i più deboli sono vittima trasformandosi, per un crudele gioco del destino, da vittime in carnefici nella connivenza di un mondo ugualmente responsabile dei drammi cui assiste.
Ma siamo certi che a quella che viene definita “retorica della famiglia tradizionale” non ne venga sostituita un’altra, quella che ipotizza l’esistenza di altre forme di aggregazione sociale le quali, per il solo fatto di essere nuove, alternative, per ciò solo siano esenti dalla tentazione del raggiungimento di una felicità a basso prezzo, velata da una patina altrettanto illusoria di virtù? Una forma di famiglia diversa sarebbe in grado di sottrarsi all’atroce destino di divenire ciò che è stato definito un “reclusorio che alimenta la pazzia dell’uccisore”? Non sarebbe forse più opportuno riconsiderare ogni forma di relazione umana e l’inadeguatezza nell’assecondare quei valori universali di rispetto della persona resistendo alla tentazione di proporre semplicistiche soluzioni inevitabilmente destinate a diventare anch’esse un totem espressivo di un sistema di valori falsi e soverchianti?