CATANIA – Il tentativo di mettere la pezza non è servito. Quella frase sul “coraggio” perduto della mafia detta da Angela Maraventano durante il comizio del 2 ottobre 2020 al porto di Salvani della Lega, durante i giorni caldi del processo Gregoretti a Matteo Salvini, gli è costata una richiesta di rinvio a giudizio da parte del pm Giovanni Gullo. L’accusa è istigazione a delinquere. Per il sostituto procuratore l’ex esponente del carroccio (ha lasciato il partito su invito di Candiani, ndr) “pubblicamente faceva apologia del delitto di associazione mafiosa. In particolare, parlando del tema dei flussi migratori, affermava “… a Lampedusa arrivano, sbarcano, poi partono per la Sicilia e poi questa gente si sparge nel nostro territorio, a bivaccare, a fare quello che non vogliamo che loro facciano nel nostro territorio. Perché questo Governo abusivo, questo governo complice, questo governo complice di chi traffica carne umana e c’è anche dentro la nostra mafia che ormai non ha più la sensibilità e quel coraggio che aveva prima. Dove sono? Non esiste più perché noi la stiamo completamente eliminando perché nessuno ha più il coraggio di difendere il proprio territorio!”. Per l’accusa le parole della Maraventano hanno riconosciuto alla mafia “qualità, come sensibilità e coraggio ed un ruolo di controllo e territorio contrapposto a quello dello Stato, di cui contestava l’efficace azione di contrasto alle associazioni mafiose”.
Angela Maraventano, il prossimo 26 novembre 2021, dovrà lasciare Lampedusa e presentarsi davanti alla gup Anna Maria Cristaldi che dovrà valutare la richiesta di rinvio a giudizio del pm.
Le indagini della procura, svolte dalla Digos, sono state avviate a seguito di diverse denunce tra cui quella dell’associazione Rita Atria, assistita dall’avvocato Goffredo D’Antona, e del presidente della Commissione all’Ars Claudio Fava. La Digos partendo dal video incriminato ha redatto una informativa che è tra gli atti di prova del processo.
“Dare un giudizio positivo sulla mafia, lodarla, non è un’opinione, ma un reato”, si legge nella querela dell’Associazione Rita Atria. Che ritiene come anche le parole “Non mi riferivo alla mafia brutta” pronunciate dall’ex senatrice per rettificare la frase choc “manifestino la convinzione che esista davvero una mafia buona da prendere ad esempio ed imitare”. Fava, nel suo esposto, era stato tranciante: “è gravissimo riconoscere, esplicitamente, all’organizzazione mafiosa qualità di ‘sensibilità’ e ‘coraggio’, sollecitando una sorta di negazionismo storico rispetto a ciò che – nei fatti – Cosa nostra è stata ed è. È inaudito affermare che la mafia «non esiste più perché noi la stiamo completamente eliminando», quasi a voler muovere a un sentimento nostalgico per la funzione di difesa del ‘nostro territorio’ che Cosa nostra avrebbe garantito”.
Oltre a Fava e alla presidente Furnari dell’associazione Rita Atria, sono riportate come persone offese anche Dario Pruiti dell’Arci, il giornalista Riccardo Orioles e Luigi Ciotti di Libera.