Guerra di mafia a Paternò |Condannati boss e sicari - Live Sicilia

Guerra di mafia a Paternò |Condannati boss e sicari

Si è chiuso con una raffica di condanne il processo, troncone abbreviato, scaturito dall'inchiesta En Plein.

La sentenza
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CATANIA – Si è chiuso in meno di un mese il processo, rito abbreviato, che ha portato nelle aule del Palazzo di Giustizia di Catania una delle pagine più cruente della storia recente della mafia militare. A Paternò appena due anni fa il clima di tensione era altissimo, una fibrillazione che ha portato a omicidi e agguati. L’inchiesta En Plein condotta dai pm Antonella Barrera e Andrea Bonomo mise un freno allo spargimento di sangue iniziato con l’uccisione di Turi Leanza a giugno del 2014. Lo scorso anno ci furono 16 fermi eseguiti dai Carabinieri tra le file della famiglia Morabito e Rapisarda, alleati dei Laudani, e degli Alleruzzo-Assinnata, storici “referenti” dei Santapaola-Ercolano all’ombra del castello normanno.

Solo un’assoluzione e condanne dai 13 ai 6 anni quelle inflitte dal Gup Giuliana Sammartino. Non ha fatto sconti nemmeno al collaboratore di giustizia Francesco Musumarra, che ha confessato di essere uno dei killer che ha freddato Salvatore Leanza sotto casa. Per il pentito una pena di 10 anni e 8 mesi. La condanna più pesante è per Santino Francesco Peci (accusato anche di armi): per lui 13 anni di carcere. Condannati a 10 anni e 8 mesi di reclusione Giovanni Pietro Scalisi, Angelo Primo Sciortino e Salvatore Tilleni Scaglione.  Pena di 11 anni e 4 mesi per Giuseppe Tilleni Scaglione. La condanna più lieve di 6 anni è stata inflitta a Vincenzo Patti. 8 anni Per Antonino Giamblanco e Sebastiano Scalia la pena è di 8 anni. Infine, 8 anni e 8 mesi rispettivamente per Rosario Furnari e Antonio Magro. Antonino Barbagallo, infine, è stato assolto per “non aver commesso il fatto”.

Le motivazioni della sentenza (a sorpresa) saranno depositate tra 15 giorni dal Gup Giuliana Sammartino. E c’è anche chi tra i difensori annuncia già il ricorso in appello. L’avvocato Francesco Messina, che assiste Antonino Giamblanco, dopo il verdetto ha affermato: “La difesa annuncia l’appello su un punto centrale della contestazione che riguarda il momento nel quale il sodalizio criminale sarebbe sorto”.

Hanno scelto il rito ordinario Vincenzo Morabito (Enzo Lima), Salvatore Rapisarda (detto Turi U Porcu – Panzuni), il figlio Vincenzo Salvatore Rapisarda (Alias Scrusci Scrusci), Alessandro Giuseppe Farina e Giuseppe Parenti. Turi Rapisarda è accusato di essere il mandante dell’omicidio di Salvatore Leanza, considerato all’epoca il reggente del clan rivale.

LA GUERRA DI MAFIA.  Nel 2014 a Paternò era in corso una vera guerra per la conquista del potere criminale. L’omicidio di Salvatore Leanza (Turi Padedda), boss del clan di Giuseppe Alleruzzo, sarebbe stato eliminato per evitare la scalata dei Santapaola. E non sarebbe bastata l’eliminazione di Turi Padedda, Salvatore Rapisarda che nel frattempo era finito in carcere per espiare una pena avrebbe dato l’ordine (da dietro le sbarre) per uccidere un altro esponente del clan rivale. La vittima designata era Antonino Giamblanco che però intuisce di essere bersaglio di un commando armato e riesce a fuggire appena in tempo. I carabinieri nella strada che porta alla discarica di Motta Sant’Anastasia hanno trovato l’auto abbandonata e diversi bossoli sull’asfalto. Pallottole di un mitra, un M12 con silenziatore, che dopo è stato sequestrato a Francesco Peci. A chiudere il cerchio sono state le parole di Franco Musumarra, detto Cioccolata, che ha svelato gli inquietanti momenti dell’omicidio di Turi Leanza.

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