PALERMO – Le richieste di pena per Cosimo Vernengo e Giuseppe Urso sono pesantissime: vent’anni ciascuno di carcere. Quindici per Giuseppe Tinnirello.
Sono accusati di avere fatto parte del mandamento mafioso di Santa Maria di Gesù o di avere contribuito a rafforzarlo. Un mandamento che faceva cassa con le estorsioni, il pizzo e le scommesse clandestine.
I pubblici ministeri Dario Scaletta e Felice De Benedittis hanno chiesto pene minori per Antonio Capizzi (4 anni per trasferimento fraudolento di valori), Giuseppe Ribaudo (3 anni e sei mesi per lo stesos reato), un anno e tre mesi ciascuno per Gaetano Dell’Oglio, Giuseppe Confalone e Giovanni Acquaviva (sono tutti imputati per favoreggiamento).
“… domani… ce ne saranno che ci devono restare male… ce ne saranno scontenti”, diceva l’anziano boss Salvatore Profeta. La conversazione intercettata è del 9 settembre 2015, alla vigilia del summit in cui furono ratificate le nomine del clan. Profeta è uno degli indagati che hanno scelto il rito ordinario.
In tanti, aggiungeva l’anziano capomafia, “si immaginavano che gli si dava qualche… qualche carica… “. Fra gli scontenti non c’era certo Giuseppe Greco che del mandamento sarebbe stato nominato reggente: “… per Pino… non… tanto assai no… perché già è… è scontato”.
L’inchiesta dei carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Palermo, coordinata dai procuratori aggiunti Salvatore De Luca e Sergio Demontis, ricostruiva le elezioni di Cosa nostra. Nel mandamento mafioso erano fedeli alle tradizioni.
Salvatore Profeta, oggi deceduto, una volta che si era scrollato di dosso l’accusa di avere partecipato alla strage di via D’Amelio – è uno degli ergastolani scarcerati quando sono state smentite le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino – decise di restare fuori dalle cariche formali. Era il grande vecchio a cui rivolgersi per ogni esigenza. Anche Vernengo aveva una comprensibile fretta di tornare all’opera. Pure lui è rimasto nove anni in carcere sapendo di essere innocente per la strage di via D’Amelio. A fine 2017 il blitz denominato “Falco” azzerò il clan.
Al processo che si celebra davanti al Tribunale presieduto da Fabrizio La Cascia ieri hanno concluso anche le parti civili, tra cui il Centro Pio La Torre, rappresentato dagli avvocati Ettore Barcellona e Francesco Cutraro.