CATANIA – Antonio Tomaselli è stato l’ultimo reggente di Cosa nostra catanese arrestato. Il blitz Chaos, nel 2017, ha fermato la riorganizzazione della cupola del clan Santapaola-Ercolano dopo i fermi dell’anno prima con l’operazione Kronos. Tomaselli, ‘penna bianca’, grazie al carisma criminale sarebbe riuscito – usiamo il condizionale perché la condanna è arrivata solo in appello – a scalare i vertici della più potente famiglia mafiosa catanese. Per la procura di Catania il boss sarebbe riuscito anche ad alzare l’asticella creando un circuito di mafia imprenditoriale. Da qui è partita l’indagine patrimoniale del Gico di Catania – nucleo Pef della Guardia di Finanza etna – che ha portato alla confisca di due società, la Conti Calcestruzzi (già al centro del processo Chaos) e l’altra la Etnea autoservizi sas (ora Etna Servizi, ndr), che gestisce il famoso parcheggio del ‘grattacielo’ a Catania. A pochi passi da Villa Bellini. Ma non è finita, perché il Tribunale Misure di Prevenzione, collegio composto dal presidente Alessandro Ricciardolo, dalla giudice Anna Scirè e dal giudice estensore Filippo Castronuovo, ha disposto una misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale della durata di tre anni. I giudici ritengono che sia ancora attuale la pericolosità sociale di Antonio Tomaselli (condannato per mafia nel processo Plutone tra il 2002 e il 2004) e hanno ritenuto insufficiente le argomentazioni della difesa in merito “alla detenzione al 41bis” che non consente contatti con l’esterno e “alle critiche condizioni di salute” di Tomaselli che sono state acutizzate dal contagio – per ben due volte – da Covid-19. Per il Tribunale, i legali non hanno “prospettato una loro effettiva incidenza in termini di esclusione o attenuazione della pericolosità sociale”.
L’infiltrazione mafiosa nella società di calcestruzzo è quasi lampante. Antonio Tomaselli, sempre nell’ambito dell’inchiesta Chaos, è fotografato all’interno dei locali a Misterbianco. Le telecamere immortalano la sua presenza, più e più volte. Che il delfino degli Ercolano sia un socio occulto delle Conti Calcestruzzi non ci sarebbero dubbi per il Tribunale.
Più complicata invece la vicenda relativa alla società che gestisce il parcheggio di via Cimarosa. Nel decreto i giudici citano stralci di due collaboratori di giustizia – personaggi di peso della storia criminale del clan Santapaola-Ercolano – Umberto Di Fazio e Santo La Causa. Il primo “ha affermato che il garage era gestito dai Tomaselli in nome della famiglia Santapaola-Ercolano e che essi avrebbero voluto acquistarlo”, riassume il Tribunale. La Causa, ex reggente militare della famiglia mafiosa, “ha raccontato – parafrasa il collegio – che Antonio e Giuseppe (il padre) Tomaselli gestivano il garage di via Cimarosa, immobile che inizialmente avevano preso in affitto; che, successivamente, intesero acquistarlo, in quanto il proprietario aveva manifestato la volontà di alienare il bene: che l’operazione di acquisto, per quanto a sua conoscenza, era stata effettuata personalmente dai Tomaselli; che, tuttavia, egli riteneva che alle spalle dei Tomaselli vi fossero gli Ercolano”. La difesa, su questo punto, ha insisto sul fatto che il pentito ha fatto una sua ‘riflessione’. Un retropensiero, per l’avvocato di Tomaselli, non può assumere il valore di “prova o indizio”.
Ma è il passaggio dalla locazione alla proprietà il momento fondamentale di tutta l’analisi ‘contabile-patrimoniale’. “Entrambi i collaboratori hanno infatti affermato che era stato il proprietario dell’immobile a manifestare la volontà di alienare il bene e che, conseguentemente, i Tomaselli si trovarono nella necessità di acquistarlo, nonostante il notevole sforzo finanziario loro richiesto”, argomentano i giudici di prevenzione mettendo in fila le dichiarazioni di Di Fazio e La Causa. Per il Tribunale si “può affermare che Antonio Tomaselli fosse all’epoca socio occulto dell’Etnea Autoservizi e che, pertanto, avesse la disponibilità indiretta del relativo compendio aziendale, già prima della successione nella quota della di lui madre”.
C’è da evidenziare però che la magistratura ritiene di provenienza lecita sia dei soldi utilizzati per pagare la prima rata (nel 2005) della locazione finanziaria che i fondi immessi nella società da Giuseppe Tomaselli, padre di Antonio. Una valutazione che la difesa farà certamente sua nelle argomentazioni del ricorso in appello, visto che la misura di prevenzione si dovrebbero basare proprio sulla ‘fonte illecita’ del compendio aziendale. Il Tribunale invece ritiene “sospetti” i versamenti di contanti effettuati tra il 2009 e 2018 che dalle scritture contabili appaiono come finanziamenti dei soci che però secondo l’analisi della Finanza non avrebbero avuto la capacità reddituale. Il collegio, dunque, ha ritenuto che Tomaselli abbia avuto un ruolo “nella fase genetica dell’operazione” e “che abbia finanziato la società con i proventi della propria attività illecita”.