Davvero sarà sconfitta? Davvero la mafia un giorno finirà? Rileggiamo le parole di Giovanni Falcone, riascoltiamole: “La mafia è un fatto umano. E come tutti i fatti umani, ha un inizio e avrà anche una fine”. D’accordo, la fede indicata, la strada tracciata, appartengono a un uomo che ha messo la sua vita in pegno, perdendola. E’ che rabbrividiamo al cospetto dei mostri dell’ultima retata. Apparentemente umani. Superficialmente figli delle donne, come noi. Ma sentite come parlano. E’ un mix tra il Padrino e una forma di odio che ancora sorprende. Aggettivi sputati come fiele. Suoni distorti. Denti che lanciano scintille alla maniera delle pietre focaie. E il bacio a fior di labbra, che vorrebbe essere magari comico, ed è ripugnante. Non perché si bacino due uomini. Perché si baciano due alieni.
E poi quanti sono i vampiri che si mimetizzano con le sembianze delle persone comuni? Li arrestano a carrettate. Sempre rispuntano altri frutti velenosi. Bossucoli di trenta e quarant’anni già intrisi di un codice animalesco con relativo linguaggio. Ripensi alle voci intercettate. Un altro brivido. E’ l’accento di Palermo. Lo riconosci. Impossibile distinguere la sfumatura che si coglie nelle chiacchiere dei mostri dall’eco che si sente allo stadio, in pizzeria, nelle piazze. Questa città si esprime così, ramazzando insieme il segno di un dramma antico col sentimento di una sopraffazione rinnovata. Lo Zen, il Borgo e non solo, tutti parlano così.
E non è reato, né evento criminale in sé. Ma se sei disperato e non impari un’altra cadenza o una speranza originale, fabbricata da qualche parte, è facile incontrare la via dello smarrimento. Basta che arrivi qualcuno a innestare i vocaboli per lui adatti dentro una cacofonia e una ridda di concetti potenzialmente sbagliati. Il ringhio di Palermo, il sussurro barbaro di una comunità selvaggia e disperata, fa presto a trasformarsi, fa presto a diventare il dialetto di un orrore indicibile. E alla fine ti dibatti tra l’amore per il coraggio di Giovanni Falcone e uno sgomento che sommerge. Se il nostro idioma coincide con le lettere di un alfabeto sbagliato, per cui è sufficiente un nulla per ritrovarsi gambe all’aria, che tipo di resurrezione ci attende? La lotta interiore sfocia in un secco punto di domanda: finirà mai?