Siamo stati costretti a raccontare la storia di una famiglia palermitana sterminata, qualche tempo fa. Due bimbe morte (Lucia e Patrizia, nella foto) sulla strada del ritorno da Paola, in Calabria, dopo un mancato colloquio, per un dettaglio burocratico, col papà detenuto. Abbiamo tentato una mediazione difficile in un momento di lacrime e rabbia: quella visita rimasta sogno non fu la causa di una tragedia. Ma chi amministra la vita delle persone dietro le sbarre dovrebbe ricordarsi più spesso della sua umanità. La compagna di vita del detenuto e mamma delle bambine, Antonella Laurendino, spiega a “Repubblica” che sussistono ancora delle difficoltà per il trasferimento del suo uomo a Palermo. Lui si chiama Francesco Cardella, sta malissimo, è in isolamento. L’abbiamo incontrato in chiesa al funerale delle sue figlie.
Livesicilia da oggi comincia una campagna affinché Francesco Cardella possa tornare a Palermo, per scontare la sua pena. Non esiste alcuna ragione superiore al ricongiungimento familiare di un nucleo spezzato e stravolto che darebbe un minimo di sollievo al lutto. Ci sono genitori in attesa e non solo loro. Negare ciò che ci appare dovuto sarebbe un incrudelimento, la disumanizzazione di una sanzione, una tortura. E il sadismo non è il fine, né il mezzo cui la Costituzione fa riferimento in tema di carcere. Le nostre celle sono già luoghi spaventosi. Vogliamo aggiungerci lo strazio di una separazione insopportabile? Francesco a casa. E subito.