Ritorna in carcere il boss di Cosa Nostra Francesco La Rocca. Per lui, trasferito la scorsa notte dall’Ospedale Cannizzaro di Catania al carcere di Bari, erano stati predisposti controlli sanitari utili a definirne le precise condizioni psicofisiche.
L’avvocato della famiglia La Rocca, Alessandro Angelino, aveva sottolineato l’incompatibilità attuale dello stato di salute del suo assistito con il regime carcerario, auspicando il rientro del La Rocca presso la propria dimora a San Michele di Ganzaria.
Il sanguinario boss
Il sanguinario boss a capo della famiglia mafiosa di Caltagirone, era recluso per scontare la sua condanna all’ergastolo presso il carcere di Opera a Milano. Dopo la discussa circolare del Dap con la quale durante il lockdown per molti boss di mafia si era concretizzato il ritorno nelle proprie abitazioni, Francesco La Rocca, esponente dell’area stragista di Cosa Nostra, era riuscito a godere del beneficio della detenzione domiciliare in alternativa a quella in carcere.
L’uomo che brindò alla “buona riuscita” della strage di Capaci, durante questi mesi, era stato più volte ricoverato presso l’Ospedale Gravina Santo Pietro di Caltagirone. Durante questi ricoveri, secondo l’avvocato Alessandro Angelino, la condizione del suo cliente si era aggravata tanto da definirne così lo stato complessivo: “Incapace di alimentarsi da solo, con difficoltà a riconoscere anche i propri cari in più soffre di una serie di patologie che vanno dalla demenza senile alle difficoltà cardio vascolari”.
Trasferito al carcere di Bari
L’8 settembre il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha rigettato l’istanza di prolungamento dei domiciliari per il La Rocca che è stato arrestato dai Carabinieri del Comando Compagnia di Caltagirone, che in questi mesi avevano curato la sorveglianza del pericoloso boss, trasferendolo prima nel reparto di medicina protetta dell’ospedale Cannizzaro di Catania.
Dopo le prime verifiche e controlli sanitari per La Rocca è stato deciso il trasferimento definitivo nella casa circondariale di Bari dotata di Sezione di Assistenza Intensificata, “quindi attrezzata – scrivono gli investigatori – delle necessarie risorse mediche e strutturali per la tutela delle specifiche condizioni di salute del detenuto”.