Ma sì, lasciamoli divertire. Chi può impedire allo stato maggiore del Pdl siciliano di sostenere che le centocinquantamila preferenze raccolte da Giovanni La Via e Salvatore Iacolino, primi tra gli eletti dopo Berlusconi, assegnano il trionfo all’ala maggioritaria del partito, quella che fa capo a Renato Schifani, Angelino Alfano e Giuseppe Castiglione?
Chi puo’ impedire ai Richelieu, inconigliati tra i corridoi di palazzo Grazioli di raccontare al re e alla corte del re che Michele Cimino, il candidato del ribelle Micciche’ ha raggranellato solo centoventiquattromila voti, e che da domani, dunque, non bisognera’ piu’ assecondare i furori sicilianisti di quella parte del partito che si e’ lasciata irretire da Raffaele Lombardo? E come negare il diritto ai tre generali dell’esercito sanfedista di muovere subito l’attacco decisivo per soffocare la rivolta e condannare al rogo non solo Gianfranco Micciche’, ma anche tutti i frondisti che lo hanno seguito in quest’avventura eretica e blasfema, da Stefania Prestigiacomo a Dore Misuraca, da Cimino a Titti Bufardeci, da Pippo Scalia a Toto’ Gentile, fino ai cento e cento amministratori che si sono autosospesi per solidarieta’?
Ma si’, con un Berlusconi frastornato dalle storiacce che lo circondano e da un risultato elettorale certo non esaltante, meglio parlare delle guasconate irredentiste di Micciche’, e della sua cricca di traditorelli annidati dentro il governo dei disobbedienti. Perche’ se al signor Capo dovesse venire in mente di chiedere come e perche’ il Popolo della Liberta’ ha perso cosi’ tanti voti in Sicilia, per i damascati Richelieu il problema diventerebbe immediatamente serio e complicato: e’ vero che il Pdl, come dice il coordinatore Castiglione, rimane il primo partito; ma e’ altrettanto vero che, rispetto alle politiche dell’anno scorso, la corazzata ha lasciato per strada, come polvere e cenere, oltre il dieci per cento dei consensi. Nel 2008 erano stati un milione e trecentomila i siciliani che avevano scelto Forza Italia e Alleanza Nazionale; quest’anno, tra astensioni e fughe, appena seicentoventicinquemila, meno della meta’. Dopo il “cappotto” del 2001 che aveva consentito a Berlusconi di considerare la Sicilia un granaio “sicuro e inviolabile” di voti azzurri, il risultato di questa tornata elettorale ribalta ogni aspettativa. Come si giustificheranno i consoli ai quali l’imperatore aveva affidato il governo di questa sua dilettissima riserva di caccia elettorale: che hanno incontrato gli animali feroci, “hic sunt leones”, come i governatori romani in terra d’Africa?
Certo, nel giorno in cui il Pdl, nel suo insieme, e’ costretto a leccare qualche ferita, e’ opportuno mettere nel giusto conto anche le irrequietezze politiche e le aggressioni verbali di tutte le componenti del partito, siano esse di maggioranza che di minoranza, ma la teoria del leone Micciche’ che azzanna e sbrana le anime belle del Pdl da sola non basta piu’. Berlusconi piuttosto dovra’ prendere atto che il partito, in Sicilia, paga il prezzo amaro di una deriva che si trascina da oltre un anno. Sono dodici mesi dodici che il Pdl non ha una guida autorevole: da quando Alfano, che era il coordinatore regionale, e’ diventato ministro Guardasigilli, le truppe sono impegnate in una rissa perenne. E sono dodici mesi dodici che il governo di Raffaele Lombardo e’ costretto a muoversi senza la copertura di una maggioranza, sventrato non solo dai propri errori ma anche e soprattutto dal fuoco amico lanciato dai bombardieri alleati. Chi potra’ mai fermare questa guerriglia verminosa? Berlusconi avra’ certamente un ruolo decisivo. A patto pero’ che il caso del Pdl siciliano non venga ridotto a un litigio tra scolaretti discoli e presuntuosi.
La Sicilia, con questo voto segnato da una profonda disaffezione (disgusto, si stava per dire) pone due o tre questioni politiche, simili ma specularmene opposte, a quelle che pone Bossi con il suo straordinario successo al di sopra e al di sotto del Po. Questioni che possono anche nascere da insoddisfazioni territoriali ma che certamente muovono dalla necessita’, dopo un anno di tormenti e lacerazioni, di sapere che cosa vuole fare il partito di maggioranza relativa di questo presidente e di questa sventurata regione a statuto speciale.
Discorso non facile, si badi bene. Perche’ in questo momento di giubilo gli stati maggiori del Pdl siciliano, per non rovinarsi la festa, sosterranno a Roma, nella stanza del trono, che Raffaele Lombardo, non avendo superato la fatale soglia del quattro per cento, e’ ormai una barca senza mare, un’aquila senza vento, uno scrigno senza gemme. E diranno che, con Lombardo, precipita verso il nulla anche quel sicilianismo piagnone che ha fatto uscire di senno Micciche’, che ha stregato Stefania Prestigiacomo, che ha abbagliato uomini e mondi fino a poco tempo fa molto lontani tra loro sia per formazione politica che per retroterra culturale. Puo’ darsi che i Richelieu riusciranno a trovare delle buone ragioni e a convincere Berlusconi che, alla Regione siciliana, e’ meglio smontare baracca e burattini e tentare la strada di nuove elezioni. Ma il Cavaliere dovra’ essere cieco e sordo. Perche’ se avra’ modo di leggere due o tre notiziole pubblicate dai giornali siciliani capira’ che la linea autonomista di Lombardo e Micciche’ non e’ poi cosi’ perdente. Il tanto biasimato Governatore, in un anno, ha portato il suo Mpa dal sette al sedici per cento. Ha superato di gran lunga l’Udc di Toto’ Cuffaro, fermo al dodici per cento e si e’ piazzato al terzo posto, dopo Pdl e Pd. Si e’ presa una rivincita anche con il coordinatore del Popolo della Liberta’: quel Pippo Castiglione che su mandato di Schifani e Alfano, avrebbe dovuto stringerlo all’angolo. Al computo delle preferenze – toh, proprio a Catania, citta’ di Castiglione – e’ venuto fuori che Lombardo ha superato nientemeno che lo stesso Berlusconi. Un oltraggio? Uno sberleffo? Macche’. I numeri hanno una valenza politica, dall’una e dall’altra parte. Potrebbero dimostrare, per esempio, che quel dieci per cento perso per strada dal Pdl e’ andato per intero all’Mpa. In ogni caso la distanza tra la corazzata, un po’ ammaccata, di Berlusconi e la navicella di Lombardo si e’ dimezzata. Alle politiche dell’anno scorso il Pdl era al quarantacinque per cento e l’Mpa al sette: il distacco era di trentotto punti. Alle europee dell’altro ieri, il Pdl del presidente del Senato, del ministro Guardasigilli e del coordinatore Castiglione frana al trentacinque per cento mentre il Movimento autonomista oltrepassa il sedici per cento: il distacco si dimezza e diventa di diciannove punti.
Un fatto politico, non c’e’ dubbio. Che impone a tutti i protagonisti della grande scena nazionale e del teatrino siciliano di trarre le dovute conseguenze. Una rotta – per quanto temeraria e scivolosa – Lombardo l’ha tracciata: andra’ avanti col suo governo ribelle e oggi, quasi certamente, distribuira’ le deleghe ai nove assessori che fanno parte gia’ della nuova giunta.
E’ un segnale di forza perche’ Castiglione e Cuffaro premono per l’azzeramento, anzi per la “rigenerazione” dell’intera compagine governativa, condizione indispensabile, dicono, per ritrovare il dialogo e riavviare una trattativa. Berlusconi invece, col suo collegio cardinalizio, resta ancora in alto mare, sotto un cielo senza stelle. Andra’ verso Nord, dove soffia il vento di Bossi e di una Lega che ha lanciato al Pdl la sfida della concorrenza, o dirigera’ la prua verso i mari del Sud dove gli abbandoni e le negligenze del governo centrale hanno spaccato non solo il Pdl, ma interi settori della societa’ civile, in particolare quella che vorrebbe onestamente lavorare e produrre? Certo, Berlusconi – che e’ anche un uomo di buone letture, sia detto senza ironia – sa che nei mari del Sud, c’e’ sempre un pirata in agguato: i racconti di Conrad non sono solo fantastiche avventure. E probabilmente teme che, da sotto la manica dell’infido Lombardo, possa spuntare all’improvviso un lucidissimo braccino uncinato. Ma come puo’ l’invincibile Armada lasciarsi intimorire da una barca sulla quale armeggia un uomo col moncherino e l’occhio bendato? Se e’ cosi’, viva i pirati.