PALERMO – Lo stipendio non può essere pubblicato. Per carità, la legge non lo prevede. Ma nemmeno il curriculum, il curriculum del Segretario generale dell’Assemblea regionale può essere pubblico. I siciliani, insomma, non hanno il diritto di conoscere quali competenze possegga il più alto (e meglio pagato) burocrate siciliano.
Mentre, infatti, anche la Regione pubblica non solo le retribuzioni, ma anche i curricula e persino gli incarichi aggiuntivi dei dirigenti al vertice dei dipartimenti, il segretario generale si rifiuta di inviare quegli atti a chi ne ha fatto richesta tramite le norme previste per il cosiddetto “accesso agli atti”. Una richiesta rivolta a “tutti i dati relativi alle posizioni dirigenziali, integrati dai relativi titoli e curricula”.
No, non si possono conoscere. Non solo non vanno resi pubblici sul sito ufficiale dell’Ars, ma nemmeno inviati a chi ne chiede ufficialmente di conoscerli. È il caso ad esempio di Pietro Galluccio, un dipendente “stabilizzato” del gruppo parlamentare del Partito dei siciliani. E il “caso” qui va oltre la semplice figura di Sebastiano Di Bella. Da più parti accusato (anche e soprattutto dal presidente della Regione Crocetta, oltre che da altri deputati) di detenere il record del burocratre più pagato d’Italia, o giù di lì.
La questione riguarda il “palazzo di vetro”. Così come è stato definito dallo stesso presidente Giovanni Ardizzone all’atto del suo insediamento. Palazzo di vetro che però diventa un po’ opaco prima di fronte alla pubblicazione delle cifre della busta paga di Di Bella. Poi persino sull’applicazione di una norma nazionale. Quella sulla trasparenza nelle pubbliche amministrazioni.
Per essere “tecnici”, si tratta del decreto legislativo 33 del 2013. In particolare, l’articolo 5 che regola il cosiddetto “accesso civico”. Cioè la possibilità che un singolo cittadino possa chiedere l’accesso agli atti amministrativi. La norma prevede, tra le altre cose, che “l’obbligo in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione. La richiesta di accesso civico – prevede la norma – non è sottoposta ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente non deve essere motivata, è gratuita e va presentata al responsabile della trasparenza dell’amministrazione obbligata alla pubblicazione. L’amministrazione, entro trenta giorni, procede alla pubblicazione nel sito del documento, dell’informazione o del dato richiesto e lo trasmette contestualmente al richiedente, ovvero comunica al medesimo l’avvenuta pubblicazione, indicando il collegamento ipertestuale a quanto richiesto”.
Ma quali sono gli atti per i quali il decreto prevede l’obbligo di pubblicazione? La risposta è all’articolo 15 di quel testo: vanno pubblicati, insomma, “gli estremi dell’atto di conferimento dell’incarico; il curriculum vitae; i dati relativi allo svolgimento di incarichi o la titolarità di cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione o lo svolgimento di attività professionali; i compensi, comunque denominati, relativi al rapporto di lavoro, di consulenza o di collaborazione, con specifica evidenza delle eventuali componenti variabili o legate alla valutazione del risultato”.
Ma l’Ars ha risposto in modo molto chiaro. Nessuno di quegli atti verrà reso noto. L’Assemblea non è obbligata a pubblicarli. Il motivo? “Nell’ordinamento interno dell’Assemblea – scrive il segretario generale Di Bella nella sua lettera in risposta a Galluccio – la normativa sulla trasparenza è stata introdotta, non con un’applicazione diretta delel disposizioni del decreto 33 del 2013, ma per il tramite dell’interposizione di specifici atti interni volti ad introdurre questo o quell’obbligo di pubblicità”.
Questo o quell’obbligo. Il parlamento “di vetro”, insomma, decide da sé se le leggi statali debbano valere anche dentro quel palazzo. Questo o quello. L’Assemblea decide per sé. Resta da capire quale atto possa essere reso noto, visto che, prosegue Di Bella, “fra questi atti non sono ricompresi quelli richiesti che sembrano riconducibili all’articolo 15 comma 5 del citato decreto, comma che l’Assemblea non ha ritenuto, ad oggi, di introdurre nell’ordinamento con proprio atto interno”. Quel comma di un decreto nazionale, insomma, “non vale” all’Ars. Il comma che indica proprio nel compenso, nell’atto di conferimento dell’incarico e nel curriculum gli atti da pubblicare obbligatoriamente. Non qui. Non all’Ars.
“Non spetta a me – commenta Galluccio – valutare se tale comportamento sia corretto sotto il profilo formale e giuridico. Lo farà la Procura della Repubblica cui ho inoltrato la nota insieme ad altri documenti circa l’applicazione (o non applicazione) della normativa sulla trasparenza da parte dell’ARS”.
Poi il dipendente del gruppo Pds si rivolge ai dipendenti dell’Ars: “Quello che, da cittadino e da lavoratore che da oltre 20 anni frequenta il Palazzo dei Normanni, sento di voler condividere con voi è il senso di vergogna che ho provato nel leggere quelle parole. Una vergogna profonda per l’Istituzione, per quel presunto ‘Palazzo di vetro’ cui il Presidente Ardizzone ha più volte affermato di voler tendere, per tutti voi dipendenti dell’Assemblea che da comportamenti e scelte come questi rischiate di venir macchiati indelebilmente. So che dentro l’Ars, – prosegue – come dentro ogni altra istituzione ed amministrazione pubblica, ci sono dipendenti che non pensano di essere lo Stato ma pensano e agiscono da servitori dello Stato e dei cittadini. Dipendenti che la mattina non valutano se adempiere ‘a questo o quell’obbligo’, ma che pensano che sia diritto e dovere di ogni cittadino di adempiere alla legge”. Ma c’è ancora una speranza. “Nell’ottica, comunque, di massima trasparenza che ha sempre caratterizzato gli atti e i comportamenti di questa Itstituzione – chiude la sua lettera Di Bella – si resta a disposizione per ogni ulteriore chiatimento”. Questo o quel chiarimento, ovviamente.