PALERMO- C’è il sangue che non era non previsto in quest’altra notte di Palermo. Il sangue, nell’ombra, contro la carezza luminosa delle fiaccole. Il sangue del ventunenne Rosolino Celesia, ferito a morte in via Pasquale Calvi. Il fuoco ravviva il buio, nell’angolo di Far West tra via Roma e la stazione, teatro di furti e di violenze. Ma chi aveva organizzato, mesi fa, il corteo di residenti e commercianti, non poteva immaginarlo. Non poteva sapere che il grido di una città si sarebbe sovrapposto al dolore per un ragazzo assassinato, in questo giovedì di passione.
Le torce della speranza vengono passate di mano in mano e le mani le proteggono dal vento. Ci sono i volti noti dei combattenti, come quello di Maria Teresa Macchiarella, titolare del ‘Gran Cafè Torino’, vittima di quattro colpi in un mese. Lei e suo marito Attilio amano la porzione di strada su cui hanno investito tutto. “Siamo molto addolorati per l’omicidio – dice Maria Teresa – e speriamo che si faccia qualcosa al più presto. Speriamo di potere dire basta. Siamo vicini alla famiglia del ragazzo ucciso, mandiamo il nostro abbraccio”.
C’è fra’ Gaetano, il parroco della chiesa di Sant’Antonino, – i religiosi sono stati i promotori dell’iniziativa – con la grinta di chi non si arrende. “Il delitto di via Calvi – dice – ci rende molto tristi, rispetto a quello che desideriamo per la nostra città. Siamo qui per chiedere ai cittadini di innamorarsi di Palermo e del nostro quartiere e sentiamo forte la decisione di tutti di impossessarsi ancora dei luoghi”. La notte si riempie della luce delle fiaccole. Uno dei farmacisti della zona racconta: “Qualche settimana fa un tale è entrato e ha preso cinquanta euro dalla cassa, come se fosse normale. E che puoi fare?”. E lo racconta, il dottore voluto bene dai suoi clienti, come una increspatura della normalità. Un piccolo incidente. Antonio Nicolao, vicepresidente della Prima Circoscrizione insiste sulle note dolenti: “Chiediamo che siano messe in campo ulteriori risorse: la situazione ormai è gravissima”.
Da una macchina scura, all’angolo, scende l’arcivescovo Lorefice. La voce si spande come per una benedizione attesa: ‘c’è don Corrado, è qui…’. Lui va subito al cuore della questione: “Ci viene richiesta una rinnovata assunzione di responsabilità e di senso civico. Abbiamo bisogno di ritrovarci, di pensare e di capire, leggere che cosa sta accadendo. Ci sono ferite molto gravi che dobbiamo toccare e riconoscere, per trovare via radicali. E per questo è importante ritrovarsi e che sia la città stessa che prende in mano una ferita che ci appartiene. La manifestazione dimostra che Palermo vuole esserci. Quello che è successo ci preoccupa e dice anche cose precise, che c’è una deriva educativa. C’è un malessere, manca alla gente qualcosa di essenziale e c’è anche una sfida che riguarda i nostri giovani. Quali vuoti, quali insicurezze abbiamo creato in loro?”.
Il corteo si avvia, vista l’ora e il giorno di settimana, con una nutrita partecipazione. Ci sono palermitani che abitano in quella trincea di affanni, tra via Roma e la stazione, da più generazioni, e altri palermitani di approdo più recente. E camminano insieme, rischiarando il silenzio. Perché non è più il tempo del silenzio.