PALERMO – Se gli ultimi due presidenti della Regione sono stati azzoppati per mafia, il nuovo presidente rischia di essere azzoppato per debiti. Il risultato delle urne consegna al governatore il bilancio più disastroso che la Sicilia abbia mai avuto. La possibilità del commissariamento della Regione è sempre più concreta: un’ipotesi che finisce per coincidere con il ridimensionamento drastico dell’autonomia siciliana. Un risultato che qualcuno ritiene possa essere addirittura la salvezza della Sicilia, come ha scritto Francesco Merlo su Repubblica del 6 ottobre: “Sicuramente in Sicilia l’autonomia deve essere abolita per bancarotta economica, politica e morale”.
Le condizioni per arrivare se non all’abolizione, quantomeno a una restrizione radicale dei vasti poteri dell’autonomia regionale siciliana ci sono tutti. L’ultimo numero di “A sud’Europa”, la rivista del Centro Studi Pio La Torre, parla chiaramente di “sballo contabile”. Non c’è un solo conto della Regione che torni. Anzi, tornano solo i debiti e i numeri di un’autonomia spremuta all’inverosimile, fino a lasciare le casse vuote. Nonostante le smentite ufficiali, i bilanci della Regione sono oltre la bancarotta.
L’analisi della Corte dei Conti è impietosa, descrivendo “una situazione di preoccupante deterioramento dei conti regionali con valori negativi per quasi o tutti i saldi fondamentali di bilancio”. Non è il caso di ripercorre tutti i buchi neri evidenziati dalla Corte dei Conti, ma basta sottolineare che il debito è di 5 miliardi e 600 milioni, una cifra alla quale si è arrivati negli ultimi quattro anni, con un indebitamento che si è raddoppiato dal 2007, cioè un anno di presidenza Cuffaro e tre anni di presidenza Lombardo.
Il nuovo presidente non ha molti strumenti per fermare l’emorragia. Certo, nel bilancio della Regione sono iscritti 15 miliardi di crediti (soldi che la Regione dovrebbe incassare dallo Stato e dall’Unione Europea), ma la Corte dei Conti spiega che sono di “difficile esigibilità”. In altre parole, questi crediti – alcuni dei quali risalgono agli inizi degli anni Novanta – servono solo a far quadrare i conti, ma tutti sanno che in realtà questi soldi non entreranno mai nelle casse della regione.
In realtà, il commissariamento della Sicilia è dietro l’angolo. Il problema è che su alcune spese sarà impossibile agire per tagliare o ridurre. Ad esempio, la spesa per il personale. Anche perché negli ultimi anni il personale regionale è aumentato, stabilizzando molti precari. Dal 2011 a oggi gli impiegati della Regione sono passati da 13 mila dipendenti a 17 mila, 1.900 dei quali sono dirigenti, cioè un capo ogni dieci lavoratori. Ma, secondo la Corte dei Conti, tra forestali, precari e uffici distaccati, il numero di chi campa con la Regione è molto più grande: almeno 50 mila dipendenti, per un costo di un miliardo di euro all’anno, spicciolo più spicciolo meno. E a questi vanno aggiunti i lavoratori socialmente utili impiegati nei Comuni dell’Isola.
Basterebbe solo questo per capire che il nuovo presidente difficilmente riuscirà a chiudere la legislatura. È probabile invece che a un certo punto debba portare i libri contabili in tribunale per avviare la procedura di fallimento della Regione. Sarà l’epilogo di una lunga stagione politica di bilanci allegri e spese pazze, di privilegi inammissibili e favoritismi che finiranno per essere pagati, come al solito, dai più deboli e più fragili. È evidente che questo governatore si troverà a saldare politicamente un conto salatissimo, sul quale ci sono ancora le impronte dei suoi predecessori. Insomma, quello uscito dalle urne del 28 ottobre potrebbe essere l’ultimo presidente della Regione che finora abbiamo conosciuto. E, se questo accadesse, con lui scomparirà anche l’autonomia alla siciliana.