La Chiesa ha diritto di parola? Certamente, sì. La Chiesa può parlare delle cose del mondo? E di cosa, altrimenti, dovrebbe, visto che opera nel mondo? La Chiesa può indicare un principio che, sgorgando dai suoi codici, interferisca col fiume della vita politica? Sì, a patto che accetti il contraddittorio e deponga il suo magistero. L’insegnamento della Chiesa di Roma vale per coloro che l’accettano, per i cattolici, ed è indiscutibile nelle sedi opportune. Ma se la Chiesa si rivolge a tutti, essa è solo una voce – autorevole – tra le tante. Un suono che correttamente vuole farsi ascoltare, ma che non deve pretendere il legaccio dell’obbedienza e del consenso dovuto. Se si comincia un dialogo con un interlocutore straniero, è logico aspettarsi che egli desideri un confronto basato sul relativismo, senza ragioni o comandamenti scagliati dall’alto come fulmini biblici.
Dunque, monsignor Mogavero fa bene a intervenire, per interpretare dal suo punto di vista storia e attualità. Sono i laici che non funzionano. Cioè, quelli che zittiscono i porporati quando il discorso non conviene, mentre gli spalancano le medesime braccia del diniego, se l’ammaestramento è congruo al fine auspicato. I laici illuminati di sinistra, soprattutto. La Chiesa che dice la sua su aborto, diritto alla vita e famiglia, immancabilmente supera un confine, perciò diventa tiranna ed esecrabile nel giudizio degli intellettuali più accaniti. Ma se il bersaglio è Berlusconi, tutti a baciare in fila l’anello del vescovo di turno. E qui non c’entrano il merito della triste vicenda, i costumi sessuali, non è una storia di meretrici carnali. C’entra soltanto la prostituzione di certo laicismo e della sua coerenza.