“Non è una bella cosa vedere le file di bare, sa? Ecco, tutti dovrebbero venire qui per capire cosa sta succedendo”. Don Carmelo Rizzo, parroco di Lampedusa, ha la voce stanca. Lui è un uomo di Dio, mite e risoluto, quando serve. Ma è, appunto, un uomo, con il cuore che trema, davanti all’abisso. E l’abisso in cui sprofonda Lampedusa è il silenzio che segue le catastrofi. Oggi, l’ultima tragedia – l’ultima storia atroce di morti e dispersi – è nelle discussioni di tutti. Un’eco di sgomento per le vittime, per quel bambino che è scivolato dalle braccia di sua madre, morta, per morire egli stesso, annegato. Eppure, tra qualche giorno, su queste anime, su questi poveri morti sfiniti dagli stenti e dal freddo, calerà il gelo supplementare dell’indifferenza.
“Ho ispezionato i corpi – spiega il dottore Francesco D’Arca, responsabile del poliambulatorio dell’isola -. E’ difficile sopportare certe scene, ma noi non molliamo. Andiamo avanti per compiere, fino in fondo, il nostro dovere”.
“Sui cadaveri – dice il dottore – c’erano segni di ipotermia, denutrizione, disidratazione”. Elementi clinici che lasciano intravvedere cosa deve essere successo su quel barchino in balia della notte. E quanto sia stata indicibile la sofferenza che ha preceduto la fine, con le labbra che hanno cercato il mare, come capita sempre, per avere un refrigerio impossibile.
Sono voci, quelle soffocate dal silenzio, che abbiamo già ascoltato, per poi dimenticarle, per scordare Lampedusa, avamposto lontano di un massacro quotidiano. Spulciando l’archivio, si trovano i cenni di una strage. “E’ una situazione pesantissima – diceva il dottore D’Arca, nel novembre scorso -. C’è stata, due settimane fa, l’esplosione sull’imbarcazione, ci sono stati due bambini carbonizzati, altre vittime… L’ultimo episodio riguarda una donna di circa quarant’anni, come è noto. Sono state tentate tutte le manovre possibili, ma, purtroppo, non c’è stato niente da fare”. Chi ricorda di cosa si parla, senza andare a cliccare su quella cronaca?
Mentre scriviamo, il ritmo incessante degli arrivi non cala. Altre trentacinque persone migranti, fra cui tre donne, sono sbarcate. A soccorrerli al largo dell’isola è stato uno dei pattugliatori in assetto Frontex. Salgono così a sette, da mezzanotte, con un totale di 304 persone, gli approdi registrati. Gli ultimi arrivati hanno riferito di essere originari di Congo, Camerun, Guinea, Senegal, Mali, Costa d’Avorio, Burkina Faso e Sierra Leone e d’aver pagato 2.500 dinari per il viaggio
“Guardi, non ci si abitua mai all’orrore – racconta Filippo Mannino, giovane sindaco, che tenta di mantenere in piedi una comunità, nonostante le notizie di bollettini drammatici -. Io sto sempre in tensione. Quando squilla il telefonino, specialmente la sera, e vedo la scritta ‘Capitaneria’, sobbalzo. Non possiamo farcela da soli – incalza il sindaco -. Roma smetta di usare Lampedusa come pomo della discordia e assuma decisioni immediate”. Una voce volenterosa che grida sopra un deserto d’acqua.
Totò Martello, ex sindaco e capogruppo del Pd in consiglio comunale, attacca: “Non voglio accusare nessuno ma certo non possiamo dimenticare che il governo Meloni si è insediato sulla base della promessa di ‘risolvere i problemi legati alle migrazioni’ e fino ad ora a parte slogan, promesse irrealizzabili e propaganda elettorale, non è cambiato nulla se non in peggio. Gli sbarchi e gli arrivi di migranti sono continuati con la stessa regolarità, è stata avviata una crociata contro le Ong e nel frattempo il Mediterraneo è stato abbandonato, sono diminuiti i controlli ed i barchini hanno continuato a navigare, provocando tragedie come quella delle scorse ore”.
Tutto va e viene nella risacca di una tragedia ordinaria a cui nessuno fa quasi più caso. Ogni tanto sostiamo su un fotogramma dell’orrore. Forse siamo rimasti colpiti nell’apprendere che un neonato è annegato, scivolando dalle braccia della mamma, già morta. Però, è un attimo. Troppo poco per cambiare davvero le cose. Troppo poco perfino per una vera pietà. (Roberto Puglisi)