Giovane, rampante e con la voglia di scrivere una bella pagina culturale per la città di Palermo. I buoni propositi di Elio Lupo si sono infranti sulle indagini dei finanzieri che parlano di affari sporchi piuttosto che di nobili progetti.
Secondo l’accusa, Lupo avrebbe intascato dei finanziamenti pubblici per la costruzione, rimasta al palo, del Museo del gioiello siciliano. Lui respinge ogni accusa, perché – dice – il museo è pronto. L’indagato da qualche giorno è stato scarcerato ed è finito ai domiciliari. Una misura sufficiente per garantire le esigenze cautelari. Lupo ha risposto alle domande del pubblico ministero Maurizio Agnello. “Un interrogatorio in un cui è stata chiarita la vicenda e ridimensionata la vicenda”, secondo il difensore, l’avvocato Fabio Ferarra. Esigenze cautelari a parte. La Procura è convinta che ci sia del marcio dietro il progetto del Museo. Un giro di fatture gonfiate, una storia di vessazioni ai danni dei dipendenti (secondo Lupo, lo avrebbero accusato ingiustamente e per ripicca ndr) e un iter burocratico tutto fa verificare. Il nuovo numero di “S” ricostruisce i passaggi del finanziamento ottenuto dal giovane imprenditore – un milione e 382 mila a titolo di acconto – nell’ambito del Por Sicilia 2000/2006. Soldi regionali e comunitari da investire in nuove iniziative culturali. Lupo era indietro nei lavori eppure avrebbe continuato ad ottenere la fiducia della Regione. La sua pratica andava avanti di proroga in proroga fino all’inevitabile stop quando negli uffici si sono resi conto che il progetto era destinato a naufragare. “Corre l’obbligo di evidenziare che i funzionari incaricati dell’istruttoria non hanno fatto rilevare tali omissioni”, scrivono gli inquirenti. Lupo ha goduto del favore di qualcuno? C’è un altro fronte investigativo aperto. L’imprenditore, che una sfilza di centro scommesse ha reso uno degli uomini più ricchi della città, è stato ammesso a godere dei benefici riservati a chi denuncia il racket. “Tutto è avvenuto alla luce del sole?”, si chiedono ora i pm.