L'appello di Taibi: “Trasformate |la Sicilia in terra di Start Up” - Live Sicilia

L’appello di Taibi: “Trasformate |la Sicilia in terra di Start Up”

Il pioniere siciliano, emigrato negli USA, riapre il dibattito sullo stato delle università e dell’imprenditoria siciliana. E ai giovani lancia un appello: “Siate innovatori e non schiavi del sistema".

Il docente di harvard
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CATANIA – “Artigiano dell’innovazione”, così ama definirsi Giuseppe Taibi, imprenditore visionario originario di Palermo, già docente presso la Harvard University Extention School, fondatore e CEO di società finanziate da fondi di investimento milionari quali Pirelli, Benetton, Banca Intesa and Merrill Lynch. Lo abbiamo raggiunto a margine di un incontro informale organizzato a Catania, presso l’acceleratore di imprese giovanili “Working Capital di Telecom Italia” dove ci ha rivelato la sua idea per risolvere gli atavici problemi che affliggono la Sicilia.

Quali sono le differenze principali tra il sistema start up in Italia e in USA?

“La caratteristica più macroscopica che si nota è la similitudine che esiste tra un acceleratore di idee di impresa come quello di Catania e quelli statunitensi. Questo è un fatto assolutamente positivo perché ispirarsi ai modelli vincenti come quelli che ci sono negli USA significa mettere le nuove menti creative siciliane in condizioni di competere con il resto del mondo. Il format americano prevede, infatti, la presentazione di idee di business da parte di giovani che hanno voglia e competenze per innovare il tessuto produttivo del territorio in cui operano ed è considerato a livello mondiale un modello ben collaudato e da seguire. Credo che qui in Sicilia occorra sviluppare e sostenere un ambiente culturale e normativo in grado di promuovere queste iniziative e far sì che non restino solo “un’isola nell’isola” ma siano invece parte di un network diffuso di diversi acceleratori di imprese, investitori e una forte integrazione con l’università. In Sicilia, come in Italia, serve un’Università in cui i docenti non siano orientati solo alla pubblicazione scientifica del loro prossimo articolo ma che abbiano anche una mentalità imprenditoriale in grado di guidare e incoraggiare gli studenti laureati a considerare carriere di tipo imprenditoriale, ciò significa far studiare i ragazzi su applicazioni reali quasi pronte al trasferimento industriale”.

Questo è il clima che si respira nelle università degli Stati Uniti?

“Nei college universitari americani c’è “coopetition” ovvero una forma di competizione e collaborazione tra le università che da un lato si contendono i migliori docenti e i migliori studenti e dall’altro collaborano per creare questo tipo di ecosistema creativo e culturale che crea vantaggio per tutta la nazione. Lo stato del Massachusetts, per intenderci, svolge un ruolo importantissimo per supportare e incentivare questo tipo di ecosistema, in tal senso la linea dell’innovazione tecnologica è considerata come una delle direttrici portanti dal punto di vista strategico per lo sviluppo economico non solo della città di Boston ma di tutto il tessuto socio economico nazionale”.

Secondo lei ci sono degli investitori statunitensi interessati alle nuove imprese giovani italiane?

“In teoria sì, perché l’investitore statunitense comunque è interessato alla start up di qualità, che sia in Italia o che sia in Mozambico. Non importa la localizzazione geografica ma importano le buone idee di business che ci sono in un determinato territorio da offrire agli investitori. Il caso di Israele è emblematico. Israele si considera una “start up nation” cioè una nazione orientata a questo tipo di realtà e in tal senso attrae un grossa quantità di investimenti dagli Stati Uniti. Ciò ha generato un filo diretto tra le due economie che intensifica gli scambi culturali e produttivi tra i due paesi. Tante israeliani vengono chiamati a insegnare nelle università americane e portare il loro know how e in America e viceversa. Anche in Italia le università e le istituzioni dovrebbero favorire questo tipo di scambi in modo da supportare l’innovazione e la ricerca”.

Ci può raccontare cosa succede in Israele?

“Innanzitutto c’è un rapporto meno mediato tra studenti e professori universitari. Lo studente sia in Israele come negli Stati Uniti, è visto come una persona molto seria non come una persona che frequenta i corsi solo per perdere tempo. Una persona che va stimolata giorno per giorno attraverso nuove sfide che gli vengono continuamente proposte dai suoi docenti, dall’altro lato lo studente va valutato seriamente. Cioè se vale, ha la possibilità meritocratica di andare avanti. Se invece lo studente non vale gli viene offerta gentilmente la porta. Così sin da giovanissimo al discente gli vengono offerte nuove opportunità e grandi responsabilità”.

Il metodo di studio è teorico?

“Assolutamente no, le università sono molto orientate alle applicazioni pratiche. Consiglierei di leggere un libro che si chiama “Start Up Nation” che si applica benissimo a noi siciliani perche Israele è uno stato che ha un affaccio sul mediterraneo, risorse naturali molto interessanti ma attorno a se ha degli stati ostili che difficilmente intrattengono relazioni economiche favorevoli e inoltre è costantemente sotto la minaccia del terrorismo islamico che intende eliminarlo. Noi in Sicilia abbiamo un isola splendida, con risorse naturali e monumentali molto più ampie ma soprattutto non abbiamo i missili puntati da parte di nessuno. Quindi noi siciliani se sviluppassimo una vocazione economica orientata all’innovazione, alla ricerca e allo sviluppo potremmo realmente fare concorrenza agli amici israeliani, in termini di esportazione di know how, brevetti, start up etc etc”.

Da Boston un appello ai nostri politici.

“Semplificare, togliere le tasse soprattutto all’inizio e aiutare queste menti creative a restare in Sicilia, creando un network diffuso di acceleratori di start up, Israele sia da esempio. Sono oltre 15 mila le persone di qualifica medio alta che negli ultimi dieci anni sono andati via dalla nostra terra. E tra questi ci sono anch’io. È un “Brain Drain” – letteralmente un drenaggio di cervelli – con conseguenze sul futuro della nostra isola devastanti oltre quelle che ci immaginiamo“.

 


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