PALERMO – Lorenzo Caramma lascia gli incarichi. Non è più consulente di Gaetano Cappellano Seminara. Crolla, picconato dall’inchiesta giudiziaria, quello che i pubblici ministeri di Caltanissetta definiscono lo “stabile rapporto di collaborazione professionale” tra il principe degli amministratori giudiziari e il “marito della dottoressa Saguto, al quale Cappellano ha elargito compensi di rilevante entità”. Per la verità ad un vecchio incarico antecedente al 2010, relativo alla gestione della cava Buttitta di Trabia, Caramma aveva rinunciato nel giugno scorso, forse spinto dal divampare delle polemiche e dalla ricognizione sugli incarichi allora chiesta dal presiedente della Corte d’appello, Gioacchino Natoli.
Un rapporto decennale, costruito sulla stima e le consulenze. Le stesse consulenze finite nel mirino dei finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Palermo. Dal 2005 al 2013 – manca l’aggiornamento dei dati recenti – Cappellano si è avvalso della collaborazione di Caramma in sette amministrazioni giudiziarie che gli erano state assegnate dai Tribunali di Palermo, Agrigento, Caltanissetta e Trapani. Totale: 750 mila euro lordi, per una dozzina di incarichi. Nel capoluogo siciliano le consulenze di Caramma sono iniziate prima che la Saguto fosse nominata alla guida della sezione di prevenzione, ma sono proseguite anche quando la moglie divenne presidente.
Caramma fa un passo indietro per ragioni di opportunità, strategia difensiva o chissà quale motivazione. Chi ha scelto di non rinunciare ai mandati è Cappellano Seminara che, al momento, non ha alcuna intenzione di cambiare idea. E dunque si profila una revoca forzata da parte del Tribunale. Le consulenze di Caramma – anch’esse erano destinate alla revoca – sarebbero la spia del presunto patto illecito – come viene considerato dai pm – fra la Saguto e Cappellano. Non è difficile ipotizzare che l’indagine, però, non ruoti soltanto attorno ai 750 mila euro incassati dall’ingegnere Caramma.
Gli investigatori stanno ricostruendo l’attività di Cappellano Seminara. E di lavoro ce n’è parecchio visto che siamo di fronte al signore degli amministratori giudiziari che ha iniziato ad occuparsi di beni sequestrarti alla mafia un trentennio fa, quando – un merito che gli riconoscono persino i detrattori – era difficile trovare gente disponibile. Cappellano Seminara ha fiutato l’affare. Tre decenni dopo è diventato il numero uno. Incarico dopo incarico – in 28 anni sono cambiati più volte i presidenti e i giudici delle Misure di prevenzione, ma il suo nome è rimasto una costante – ha allestito una macchina enorme, con una trentina di collaboratori nel libro paga. I neo giudici della rinnovata sezione Misure di prevenzione fanno fatica a mappare tutto il suo lavoro.
In un mondo in cui contano fiducia, stima e relazioni, l’avvocato è stato capace di ricevere incarichi non solo a Palermo. Di recente lo abbiamo raggiunto al telefono mentre era a Roma impegnato a gestire chissà quale patrimonio affidatogli dal Tribunale capitolino. Quando c’era un grosso sequestro, ecco spuntare il suo nome: l’Immobiliare Strasburgo del costruttore Piazza; i beni (clinica Villa Santa Teresa inclusa) di Michele Aiello, re mida bagherese della sanità privata; il patrimonio di don Vito Ciancimino passato al figlio Massimo che mai è stato tenero con Cappellano Seminara. Attaccato da molti colleghi, ma difeso da tanti uomini in toga o divisa.
I magistrati di Palermo – tra questi c’era pure Lia Sava, l’aggiunto di Caltanissetta che oggi indaga sul sistema di cui Cappellano avrebbe costituito l’asse portante assieme alla Saguto – lo citavano come testimone per orientarsi nella caccia al tesoro di don Vito che spostava nella lontana Romania. Incarico dopo incarico Cappellano Seminara ha assunto una posizione dominante ed è stato capace di “crescere” una generazione di amministratori giudiziari. Tutti nomi che hanno finito per ottenere decine di incarichi.
Attorno al suo nome montavano i sospetti, ma il rapporto con i magistrati – soprattutto con la Saguto divenuta presidente nel 2010 – non veniva scalfito. Il suo lavoro mai messo in discussione, così come le parcelle. C’era il “visto si autorizzi del giudice” nelle liquidazioni dei compensi milionari chiesti e ottenuti da Cappellano Seminara. Forte dell’appoggio del “suo” presidente l’avvocato si presentò al cospetto della Commissione nazionale antimafia. Erano i giorni caldi delle bordate del prefetto Giuseppe Caruso, allora direttore dell’Agenzia per i beni confiscati alla mafia, che lo attaccò pubblicamente per la “parcella d’oro” della Immobiliare Strasburgo e per il doppio incarico di amministratore e presidente del Cda nella stessa società sequestrata a Piazza. Cappellano reagì a muso duro, difendendo la sua gestione di “37 misure giudiziarie, nel pieno rispetto del perimetro di azione concesso dalle normative e nell’ambito di un confronto puntuale e trasparente con il giudice delegato alla Misura di prevenzione, il Tribunale e con l’Agenzia nazionale raccogliendo plausi per il mio operato”.
E i compensi d’oro? “Ho presentato una parcella lorda di 7 milioni di euro per 15 anni di lavoro durante il quale ho amministrato, insieme ad un team di 30 collaboratori, 32 società e ho accresciuto il valore commerciale degli asset a me conferiti a 1,5 miliardi di euro”. Nel braccio di ferro Saguto-Caruso ebbe la meglio il giudice e, di conseguenza, anche Cappellano Seminara. Il rapporto di fiducia restò più solido che mai. La conferma arrivò dalla sua nomina, nel marzo 2015, ad amministratore giudiziario di tre alberghi sequestrati ad alcuni membri della famiglia Ponte, nonostante la famiglia di Cappellano Seminara avesse nel frattempo investito nell’acquisto dell’Hotel Brunaccini. Nessun conflitto di interessi, disse l’avvocato, perché erano alberghi per target di clientela diversa.