Vladimir Luxuria e il suo status di icona. Non più “solo” una famosa da far naufragare con altri colleghi di tanta o poca celebrità su un’isola honduregna con telecamere a seguito. Non semplicemente la vincitrice di uno dei tanti reality stagionali, quello dove bisogna stare in costume e mangiare riso scotto per due mesi di seguito. Era stata arruolata nel cast in quanto “donna di spettacolo” ed ex parlamentare della Repubblica dai banchi i Rifondazione Comunista. Al suo vittorioso ritorno si è vista appioppare la responsabilità di redimere un popolo bigotto e con scarsa dimestichezza col termine transgender. E fin qui tutto bene. Fino a quando non hanno cercato di accollarle l’eredità di una sinistra che aveva bisogno di tornare a parlare col grande pubblico. A quest’incombenza è riuscita a sottrarsi, non ritrovandosi inserita in nessuna delle liste che la gauche italiana ha approntato per le imminenti elezioni al Parlamento Europeo. Ha preferito indossare i panni della scrittrice e con queste vesti si è presentata a Palermo. Il suo libro ha per titolo “Le favole non dette” (Bompiani), ed è una raccolta di racconti dedicati “al mistero dell’animo umano, a quello che non si dice, ma che riempie di bellezza le nostre vite”. Storie di verità a volte scomode, che però è sempre meglio non tenere per sé. Uno di questi racconti è ambientato proprio in Sicilia, “in una città fantastica che ho chiamato Agrumia – spiega Vladimir Luxura – riporto in modo favolistico la storia di un ragazzo, un mio amico siciliano che adesso vive a Roma e si esibisce in spettacoli di drag queen, della sua vita e della difficoltà ad esprimere tutto sé stesso in un piccolo paese siciliano”. Anche se le vedute strette e grette sui costuni sessuali non sono esclusiva di un mondo solo a tinte meridionali: “In Sicilia, e penso a città come Palermo e Catania, esistono realtà che offrono al mondo gay possibilità di esprimersi, con vari locali e varie associazioni. La cultura machista è propria di tutti i provincialismi, in questo senso non esiste una dicotomia Nord-Sud”. In alcuni contesti, però, ancora oggi è preferito sentirsi dare del “mafioso”, che essere apostrofati come “gay”: “Ognuno ha la sua etica – conclude Luxuria – Sono solo contenta che i mafiosi considerino gli omosessuali molto diversi da loro”.
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