CATANIA – Il bilancio delle primarie sotto il vulcano. Ventisettemila persone hanno deciso di recarsi alle urne in una domenica assolata per dire la loro sul futuro del Pd. E’ questo il primo dato in controtendenza rispetto al quadro nazionale che si è registrato nella provincia etnea. Simpatizzanti del partito, tesserati, truppe cammellate, macronisti di provincia, nostalgici del centrosinistra e chi più ne ha più ne metta sono andati ai seggi mentre nel resto del paese si perdevano comunque tanti elettori. Quattro anni fa a Catania furono circa ventunomila gli animatori del popolo delle primarie. Ma c’è un altro dato che fa di Catania una piazza particolare. Renzi vince, ma senza plebiscito. L’affermazione è sicuramente netta e incontrovertibile, quantificata con il 61% dei voti pari a circa 16000 preferenze, però è più bassa del dato nazionale. Un trend che ha caratterizzato in generale tutta l’isola. Il guardasigilli a Catania sfiora il 28% dei consensi, una percentuale invece ben più alta del dato nazionale. TUTTI I RISULTATI.
Emiliano, sostenuto dai crocettiani, mantiene il suo 10% e riesce a eleggere due delegati all’assemblea nazionale: il consigliere Giovanni D’Avola e l’assessore Luigi Bosco. In termini numerici la compagine renziana supera quota sedicimila preferenze ottenendo quattromila voti in più della scorsa tornata, ma eleggendo un delegato in meno. Alla fine i rappresentanti che il 7 maggio voteranno il segretario sono otto: Luca Sammartino, Valeria Sudano, Raffaele Nicotra, Anthony Barbagallo, Ersilia Saverino, Giovanni Barbagallo, Gianfranco Vullo e Francesca Raciti. La mozione Orlando elegge quattro delegati: Giuseppe Berretta, Concetta Raia, Angelo Villari e Antonina Puglisi. La composizione dell’area che quattro anni fa sosteneva Cuperlo era più ampia, infatti, comprendeva il gruppo di Giuseppe Caudo oggi su Emiliano e quello di Fausto Raciti oggi su Renzi, eppure prendeva circa mille voti in meno. Sono dati fluidi quelli del Pd catanese che ha vissuto momenti di tensione per tutta la corsa delle primarie con l’investitura di Sammartino e Barbagallo a portabandiera dell’area Renzi che quattro anni fa vedeva invece come capolista Enzo Bianco. Oggi il primo cittadino, dopo la retromarcia delle regionali, prova a vestire i panni del pontiere e del padre nobile che dispensa consigli e lancia la candidatura di Grasso alla presidenza della Regione.
Ma, secondo diversi osservatori non starà troppo a guardare. Ad ogni modo, sullo scacchiere del Pd etneo si posizionano con sacche di consenso molto ampie due gruppi: i neorenziani di Sammartino e i franceschiniani di Anthony Barbagallo. I voti crescono, ma la composizione dell’area è decisamente frammentata e non ci sono i numeri per fare prigionieri. Ed è questo che a livello regionale potrebbe sparigliare le carte. Ma prima c’è lo scoglio delle amministrative, un banco di prova che dirà tanto anche sulla tenuta del partito catanese. Capire se si giocherà di squadra o si andrà a briglie sciolte sarebbe un primo passo, anche alla luce dei vari “casi” che hanno caratterizzato la scorsa tornata. Carpire i posizionamenti dei vari protagonisti potrebbe essere una cartina al tornasole in vista degli appuntamenti successivi: i congressi regionali e provinciali che non necessariamente potrebbero tener conto dell’appartenenza alle varie mozioni. Poi, si vedrà. E con la vittoria di Renzi il quadro potrebbe venire scosso ulteriormente. Tornare al voto per le politiche potrebbe significare uno scontro intestino alle diverse mozioni decisamente feroce. Ma, senza conoscere la legge elettorale, ogni ipotesi ad oggi lascia il tempo che trova.