RAFFADALI – Il dolore ha il potere di annullare le distanze al primo piano della palazzina di Salita del Rosario. Totò Cuffaro ritrova l’affetto dei cari nel giorno in cui nella casa di Raffadali si piange il padre che non c’è più. Il professore Raffaele è morto nelle ultime ore del 2012. Aveva 85 anni. Il figlio, detenuto a Rebibbia, sei giorni dopo può riabbracciarlo per l’ultima volta.
L’ex governatore non ha fatto in tempo a partecipare al funerale, ma il Tribunale di sorveglianza della Capitale gli ha concesso il permesso di partecipare alla tumulazione e di riunirsi ai familiari nel giorno del lutto. Nessun favoritismo e nessuna perdita di tempo. “Il carcere ha delle regole ferree per tutti. Siamo tutti delinquenti”. Totò Cuffaro si cuce addosso, per la prima volta, la parola delinquente. Non perché abbia smesso di gridare la sua innocenza, che continua a ribadire tutte le volte che può, ma perché vuole sentirsi uguale a tutti coloro che, come lui, per lo Stato delinquenti lo sono. Tutti i detenuti hanno diritto al permesso per gravi motivi familiari di cui gode oggi Cuffaro che ripercorre i passaggi di una burocrazia che può solo essere accettata: “Papà è morto il 31 dicembre. Di pomeriggio. Ho ricevuto la notizia all’indomani a pranzo. In carcere bisogna rispettare le procedure per avere comunicazioni telefoniche dall’esterno”. A quel punto è partita la richiesta al Tribunale di sorveglianza: “L’ha ricevuta alle otto e mezza del 2 gennaio e alle undici è mezzo era già stata accolta. Non c’è nulla da eccepire sulla solerzia del Tribunale che voglio ringraziare per avermi dato la possibilità di salutare mio padre”. E di tornare in Sicilia. “Godetevela la Sicilia”, dice ai cronisti che lo aspettano sotto casa, “perché è una terra meravigliosa”. A casa aggiunge di avere ritrovato una Sicilia “diversa, cambiata, ma non certo migliorata”.
Niente politica, niente vicende processuali. Le regole impongono a Cuffaro il silenzio su certi argomenti. E l’ex governatore rispetta scrupolosamente le consegne. Parla della sua vita carceraria. Di una cella dove “è arrivato un nuovo ospite”, degli “undici esami sostenuti” in Giurisprudenza (un anno fa quando lo abbiamo intervistato a Rebibbia era a quota tre), dei tanti chili persi (“Continuo a fare un’ora e passa di corsa ogni mattina, gioco a calcio e ogni tanto faccio pure l’arbitro”). La vita carceraria dell’ex governatore, in cella per avere favorito la mafia, è scandita dalla routine. Spezzata dalle molte visite che riceve: “Il 31 dicembre a mezzanotte è venuta a trovarmi l’onorevole Rita Bernardini (parlamentare radicale ndr)”. Molte visite, tantissime lettere. Una montagna: “Ne ho ricevuto circa dodicimila”.
Le lettere gli fanno compagnia, come i libri. Quelli che legge e quelli che scrive. Ha pubblicato Il candore delle cornacchie per raccontare la storia del Cuffaro detenuto. E quelli che ha in cantiere. Uno in particolare: “Non sarà pronto prima di sei mesi. Voglio scrivere un libro per raccontare le tante cose che so. Faranno del male a molte persone, ma farò del male anche a me stesso. Ci sono cose del sistema che è giusto che la gente conosca”. Di più Totò Cuffaro non dice. Di certo il sistema di cui parla non è quello carcerario che ha imparato a conoscere, lasciandosi alle spalle “i tanti pregiudizi che avevo prima di entrare”.
Cuffaro è detenuto da due anni. Gliene restano da scontare altri cinque. Il 22 gennaio 2011 smetteva i panni del leader carismatico per indossare quelli del detenuto. Costretto a chiudere per sempre la sua esperienza politica per avere commesso un reato tanto grave, quanto infamante. Con l’arresto si concludeva la parabola discendente iniziata con un vassoio di cannoli. Era il 2008, all’indomani della condanna in primo grado a cinque anni per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento semplice (allora era caduta l’aggravante mafiosa) il governatore fu fotografato mentre spostava un vassoio di dolci regalatigli da un amico nel suo ufficio di Palazzo d’Orleans. E fu travolto dalle polemiche. “Tutti sanno – racconta oggi – che non stavo festeggiando. Non ero certo un fesso. È stata una leggerezza, ma c’era uno stuolo di capiredattori che doveva impedirmelo. Vabbè è andata così”. Si leggono rammarico ma anche rassegnazione nel suo volto, mentre incrocia lo sguardo dei fratelli Silvio e Giuseppe. Totò Cuffarò fra poche ore lascerà la Sicilia: “Andrò via prima che scada il permesso”. Il detenuto Cuffaro tornerà a Roma. Carcere di Rebibbia.