Lega, poltrone e veleni |Scatta la "secessione" interna - Live Sicilia

Lega, poltrone e veleni |Scatta la “secessione” interna

Dopo le comunali esplode la tensione nel partito di Matteo Salvini.

 

CATANIA – Più che un Carroccio, un carretto. Anzi, una carrozzina pronta a deragliare tra le spinte di una guerra interna che va avanti da mesi e che ha prodotto i risultati al lumicino di domenica scorsa. Con l’1,68%, il partito del vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini è il fanalino di coda della tornata che ha visto eleggere primo cittadino Salvo Pogliese. Ecco la Lega. Nessun altra lista ha fatto peggio, sia dentro sia fuori il centrodestra. E dire che la passeggiata del leader padano a Catania, con tanto di comizio improvvisato a piazza Giovanni Verga, aveva fatto credere che il vento fosse in poppa. E invece no. L’uscita di ieri del sindaco di Aci Castello Filippo Drago, che chiede apertis verbis di azzerare i vertici siciliani del partito a partire da Angelo Attaguile, vale l’aut aut. “Sono fuori dalla famiglia” – dura la replica di Fabio Cantarella, salviniano etneo della prima ora e assessore designato della giunta Pogliese. Perché? “Parliamo di soggetti che hanno sostenuto altri candidati sia alle nazionali, sia alle comunali, lo sanno tutti che avevano candidati in altre liste… Si sono messi fuori da soli. Chi vota per un’altra forza politica – aggiunge l’esponente della Lega – non può pensare di rientrare e criticare”.

Se già non lo ha fatto, il Carroccio etneo (e siciliano) rischia di saltare per aria. Un dossier che i vertici del partito conoscono benissimo e non da ora. Tant’è che in meno di un anno sono intervenuti a Catania per sedare gli animi Giancarlo Giorgetti (attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio) prima, e Stefano Candiani (attuale sottosegretario all’Interno) poi. Proprio quest’ultimo, interrogato da LiveSicilia sull’uscita di Drago, taglia corto: “Non prendo in considerazione le questioni espresse nei comunicati stampa”. La voce di Candiani è una di quelle che conta nello scacchiere siciliano, non fosse altro perché Matteo Salvini lo ha mandato a lavare i panni sporchi già all’indomani delle Politiche. Da allora il commissario ha dovuto far fronte ad una lunga serie di bisticci esplosi dall’opzione di candidare Carmen Droise (“la segretaria di Attaguile”, sic) a Siracusa e dal giallo sulle dimissioni già accordate a favore di Filippo Drago una volta eletta a Roma. Storia quindi di un partito diviso in due, con la vecchia guardia sicilpadana in dissidio con le new entry Drago (già assessore per il centrodestra nello Scapagnini bis) e Anastasio Carrà (primo cittadino a Motta, eletto quando era ancora vicino ai dem Luca Sammartino e Valeria Sudano).

Partito in crisi, urne vuote e candidati elettoralmente anemici. Stefano Candiani vede però il bicchiere mezzo pieno. “Questioni di punti di vista – dice – A  me interessa costruire un percorso che non nasce da fusioni a freddo o alchimie. Voglio costruire dalle persone, perché il consenso che noi chiediamo è su di un progetto politico…”. Tradotto in altri termini, alla Lega non interessa puntare sui ras locali o sui pacchetti clientelari ma su di un progetto di lunga durata. Il sottosegretario all’Interno lo dice con toni felpati – e forse con un pizzico di pregiudizio – ma lo dice: “Qui c’è una ‘tradizione’, lo dico in maniera garbata, di preferenze antitetica allo spirito della Lega. Di ciò ne prendiamo atto e ne teniamo conto. Ma in quell’1% c’è un valore aggiunto che qualcuno non ha inteso: la Lega qui partiva da zero. Sbagliato avanzare confronti con le Politiche, il voto amministrativo è altra cosa. E dicendo che “la politica delle preferenze non è sempre positiva”, Candiani blinda il gruppo dirigente catanese.

Sul piatto della bilancia restano però i numeri. Perché è difficile non fare i conti con il peso specifico dei singoli candidati in lista. Se i primi tre arrivati raccolgono rispettivamente 234, 184 e 129 (gli altri tutti fermi a due se non a una cifra), vuole dire che anche il “progetto politico” ha sortito delle battute d’arresto. Riprende parola Fabio Cantarella:  “Il nostro non è un voto di radicamento, ma d’opinione – spiega – La nostra è stata una candidatura di bandiera, con una lista confezionata gli ultimi dieci giorni perché non potevamo non esserci. Questa è la ricostruzione onesta dei fatti. Ci aspettavamo il 2% e lì ci siamo assestati. Alle amministrative palermitane abbiamo raccolto altrettanto, nonostante l’apparentamento con Fratelli d’Italia”.

Oltre le beghe, l’analisi. Guardando al dato squisitamente politico, c’è che la Lega ha dovuto fare i conti con le specificità dell’elettorato catanese, dove la presenza dei berluscones è tra le più in salute d’Italia. Questione di uomini e d’incroci storici, perché buona parte dell’ex An – partito con una forte presa alle pendici dell’Etna – a partire dal neo sindaco Pogliese si è trovata sotto le insegne forziste ma con il timone in mano. E non solo, la Lega a Catania ha dovuto fare i conti con tre fattori direttamente concorrenziali: Diventerà Bellissima, il movimento del presidente della Regione Nello Musumeci, sul versante governativo; Fratelli d’Italia (agevolmente sopra la sbarramento) da destra e la rinascita (elettorale) di Raffaele Lombardo sul fronte autonomista. Posta così la questione, il campo entro cui potevano raccogliere i salviniani era assai affollato.

A questo punto alla Lega etnea non resta che puntare in via preferenziale sull’assessorato di Cantarella. Opzione che – come Live Sicilia ha già abbondantemente segnalato – resta l’unico ponte con il governo nazionale e con il Viminale in particolare. “Sono a disposizione della Lega e della città”, dice il diretto interessato. Intanto però i salviniani catanesi devono riprendersi da un altro schiaffo, ma assestato da Enzo Bianco. Benché sconfitto alle urne, la scelta di attendere al porto di Catania la Diciotti con il suo carico di quasi mille migranti non può passare inosservata. Non dal neo assessore e neanche dal neo sindaco.


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