Se non è una tragedia poco ci manca. Quello che è accaduto ieri a Sala d’Ercole è un fatto di straordinaria gravità. Trattando la legge di stabilità regionale il governo è andato ripetutamente sotto in Aula. Sono state bocciate anche norme fondamentali come quella che sostanzialmente permette di spalmare il gigantesco disavanzo della Regione in rate trentennali. L’impianto stesso della manovra e del bilancio è uscito a pezzi dalla votazione di ieri. E adesso il pantano in cui si trova invischiata la Regione è davvero preoccupante. Anche perché l’esercizio provvisorio è scaduto e non è stato prorogato e se da qui a qualche giorno non si votano i documenti contabili si bloccherà la spesa.
Il governo se la prende con le opposizioni, le opposizioni se la prendono col governo, c’è chi chiede le dimissioni di Nello Musumeci (ieri assente in Aula), e chi come i grillini tende la mano per far nascere una nuova giunta “tecnica”. Comunque si mettano le cose, è evidente il vicolo cieco in cui la giunta regionale si è andata a cacciare. E visto che lo scenario è quasi da tragedia, per capire come ci si è arrivati viene in soccorso proprio la lezione delle tragedie greche, quelle che i siciliani vedevano a teatro più di duemila anni fa. In quelle opere immortali, i protagonisti finivano in rovina traditi dalla hybris, ossia la tracotanza che attirava su di sé la nemesis degli dei, l’inevitabile punizione. E forse, pur riconoscendo tante attenuanti al governo Musumeci, anche questa volta sulla scena di Sala d’Ercole è stata la hybris a essere punita. Perché quando una decina di giorni fa si è arrivati in Aula – dopo lunghe tribolazioni – per trattare il bilancio, con alle porte una manovra lacrime e sangue che avrebbe scontentato tanti pezzi di Sicilia, forse sarebbe stato logico, o per lo meno prudente, cercare un dialogo, una sponda, con le opposizioni. Magari accordando quella proroga dell’esercizio provvisorio invocata dal Pd, per affrontare la spinosa situazione senza l’acqua alla gola dei tempi strettissimi, cercando una soluzione col governo nazionale. E invece così non è stato. La maggioranza che maggioranza non è, come si è visto ancora una volta ieri, ha voluto in quella occasione imporre un atto di forza, mostrando muscoli fasulli, resistendo alla richiesta di numero legale con 37 voti. Che sono maggioranza all’Ars, sia chiaro. Ma che sono subito evaporati al primo soffio di vento, quando i franchi tiratori si sono uniti a dem e grillini per impallinare il governo.
E così si è arrivati alla frittata di ieri, alla tempesta perfetta che si abbatte su una Sicilia già in enormi difficoltà. Il contesto è così drammatico da rendere auspicabile un’assunzione di responsabilità anche da parte delle opposizioni, per il bene della Sicilia. Ma non si può dire che le mosse del governo siano state troppo felici per costruire quel tipo di scenario. Se il centrodestra ha cercato di apparire forte, è finito per manifestare per l’ennesima volta tutta la fragilità di una coalizione sfilacciata e consumata da continue vendette. E a questo punto occorre forse richiamarsi alla “forza della debolezza”, di cui scrisse il compianto cardinale Martini, per uscire indenni da un calvario in cui un’intera regione rischia di esalare l’ultimo respiro.